L’impegno educativo fa letteralemente perdere la testa. E «quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature – scriveva don Milani in una lettera a Nadia Neri – troverai Dio come un premio»
Da alcune settimane ormai, quarantatre nuovi studenti stanno frequentando la prima media presso la nostra scuola. Costruita nei mesi scorsi (da maggio a novembre 2017) grazie all’aiuto di molti benefattori attraverso la Fondazione Pime Onlus (progetto K 595), la scuola è ora agibile e i ragazzi/e possono frequentarla. Il villaggio dove sorge è alquanto remoto, per questo rappresenta una possibilità di studio a chi altrimenti non avrebbe scelta. Tra gli alunni infatti abbiamo riscontrato qualche significativo “ritorno a scuola”. Penso a Roeun Long, nato nel 2000, che a diciassette anni si trova ancora in prima media! Molto probabilmente ha iniziato le scuole elementari tardi, ha forse ripetuto qualche anno o si è perso per strada e quest’anno è ritornato. Per ricominciare!
Il motto della prima scuola, costruita a Prey Veng nella prima fase della mia esperienza missionaria in Cambogia, suonava piu o meno così: la lettura produce un comportamento virtuoso. Si trattava allora di una scuola superiore. Ora, per la nuova scuola media, vorremmo adottare lo stesso motto perché siamo convinti che la lettura intensa, prolungata, consapevole di un testo, tanto piu di un’opera letteraria ma anche di un testo di scienza, aiuti a crescere e a capire – direbbe Giacomo Leopardi – “Il perchè delle cose, (…) Del mattin, della sera, / Del tacito, infinito andar del tempo”. Questa volta però il motto comparirà sul timbro della scuola nella sua versione latina: Lectio et Virtus! Perché la lettura affina l’anima, apre mondi e “leggere – scrive Giuseppe Montesano nel suo libro Lettori selvaggi – vuol dire evocare apparizioni che ci mostrano tutte le vite che potremmo avere, e tutti i mondi che ci sono dentro il mondo”. La lettura è per coloro che “vogliono vivere più vita” e scoprire “mondi in cui giacciono piccole e grandi estasi, capaci di moltiplicare la personalità infinitamente più di qualsiasi droga”. Tra l’altro la nostra scuola sorge in un villaggio dove ancora non hanno portato l’energia elettrica. Lo consideriamo un “privilegio” perché questo non ci obbliga ad allestire una sala computer, come in tutte le scuole che vogliono essere moderne. Qui a Pka Doong, così si chiama il villaggio, almeno per ora, niente schermi, niente video! Sappiamo comunque che sarà per poco. Prima o poi tireranno i fili e avremo l’energia elettrica. Ben venga! Ma nel frattempo – ci siamo detti – approfittiamone per leggere, “per rubare tempo vivo agli schermi menzogneri e alle relazioni fasulle”- scive ancora Giuseppe Montesano.
Sono della classe 1968, ho quasi cinquant’anni, eppure la mia insegnante delle scuole elementari, la maestra Franca, come un tempo e più di un tempo, continua ad incoraggiarmi. Un mese fa mi ha inviato una bellissima foto che vi propongo. Si tratta di uno scatto del 1959 che ritrae alcuni piccoli studenti mentre, appesi ad una carrucola, attraversano il fiume Panaro, nell’Appennino modenese, per andare a scuola al di là del fiume. Esprime molto bene la tenacia dei ragazzi, la loro prontezza a superare qualsiasi difficoltà e la loro consuetudine a non temere la fatica. Suona ridicola la polemica di qualche settimana fa in Italia sull’obbligo per i genitori di accompagnare a scuola i figli minori di quattordici anni. L’educazione dovrebbe piuttosto essere questo: camminare senza temere la fatica, senza scorciatoie o sotterfugi, compromessi o scale mobili che ci portano in alto troppo in fretta senza attrezzarci a gestire quelle emozioni che, rimaste in basso, si risolvono solo con gli ansiolitici. Ciò che oggi mi sembra decisivo nell’avventura educativa è il fatto di saper abbracciare la fatica in tutti i campi: nello studio, nel lavoro, nell’amore. Alludo qui anche alla fatica dei legami e alla fatica di amare. Nella vita e dunque nella scuola, patire e capire vanno insieme.
La foto della maestra Franca mi ha commosso e incoraggiato. Conclude il suo messaggio con una citazione di Victor Hugo: “Chi apre la porta di una scuola, chiude quella di una prigione” e poi augura anche a me qui in Cambogia “Buon anno scolastico!”. Tra gli studenti che abbiamo ci sono sei ragazzi/e di religione musulmana. Le ragazze sono ben visibili nelle foto di classe o mentre si allontanano dalla scuola dopo le lezioni. Abbiamo constatato che si assentano regolarmente e in gruppo, tutti e sei. Chiedendo informazioni, ci hanno spiegato che frequentano una scuola coranica. Sono molte nell’area le moschee e le scuole coraniche. Quando gli orari si sovrappongono con quelli della nostra scuola, la religione ha il sopravvento e i ragazzi si assentano. Nulla da eccepire, ma allo stesso tempo e a lungo andare, potrebbero crearsi delle difficoltà soprattutto se le assenze dovessero superare il numero consentito. Accanto alla fatica, dunque, un altro ingrediente imprescindible dell’educazione è la libertà. Interpreto cosi la speranza di Victor Hugo che auspicava l’apertura delle scuole e la chiusura delle prigioni. Delle prigioni di ogni tipo: interiori, religiose, commerciali, idolatriche, ideologiche, digitali. Con la scuola e attraverso la scuola. Con la lettura e attraverso la lettura: “leggere per vivere vuol dire attingere quell’energia che fa essere la realtà diversa da una prigione”. Per questo dobbiamo diventare “Lettori selvaggi”! Ma non solo: vorrei concludere con alcune parole del solito don Lorenzo Milani che tanto mi ha ispirato in questi anni. L’impegno educativo fa letteralemente perdere la testa. E “quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, – ha scritto don Lorenzo in una lettera a Nadia Neri – troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura”. Ringrazio ancora una volta Fondazione Pime Onlus e tutti coloro senza i quali l’apertura della scuola non sarebbe stata possibile. Grazie!