AL DI LA’ DEL MEKONG
L’improbabile «colour revolution» in Cambogia

L’improbabile «colour revolution» in Cambogia

Le autorità della Cambogia hanno chiesto alla Tass, l’agenzia di informazione russa, consulenza e training per prevenire movimenti di protesta e dissenso. Mi vengono in mente le parole del Papa sui media e la «prima bozza della storia»

 

Il fatto: la «Press and Quick Reaction Unit», una unità speciale d’informazione che in Cambogia si occupa di rispondere e sedare qualsiasi pensiero e opinione politica contraria o diversa dalla logica del partito di governo, alcune settimane fa ha chiesto alla Tass, l’agenzia di informazione russa, consulenza e training per il suo staff. La richiesta è stata confermata dal portavoce della speciale unità Tith Sothea. L’intento dichiarato è quello di prevenire qualsiasi colour revolution, specialmente in questo periodo, teso e confuso, che precede le prossime elezioni comunali (2017) e le prossime elezioni politiche nazionali (2018). Nel sito ufficiale della «Press and Quick Reaction Unit» si legge che la ragione di tale richiesta muove dal fatto che «la Russia ha alle spalle molti anni di esprerienza nel prevenire tali “colour revolution”, grazie all’importante ruolo che la stampa [i media in genere] ha giocato nell’assicurare la stabilità sociale».

Onestamente non siamo sicuri dell’imparzialità dell’agenzia russa, dell’oggettività delle informazioni che mette in circolo, dell’effettiva libertà dal potere centrale che ne comanda le parole. In questo senso la rete offre qualche opportunità per una verifica circa l’attendibilità delle informazioni della propaganda del regime di Vladimir Putin. Nondimeno ci si può chiedere come mai una simile richiesta di aiuto e formazione sia stata rivolta alla Tass e non alla Reuters o a qualche altra agenzia di informazione. È pur vero che nessuno in questo campo, a est come a ovest, può vantare una totale imparzialità e onestà.

Le raccomandazioni di papa Francesco ai giornalisti italiani lo scorso 22 settembre, estendibili a chiunque lavori nell’ambito dei media, sono perentorie: «voi scrivete la “prima bozza della storia”, costruendo l’agenda delle notizie e introducendo le persone all’interpretazione degli eventi». «Amare la verità, vivere con professionalità, e rispettare la dignità umana» sono dunque caratteristiche imprescindibili perché – ha continuato papa Francesco – «nel corso della storia, le dittature – di qualsiasi orientamento e “colore” – hanno sempre cercato non solo di impadronirsi dei mezzi di comunicazione, ma pure di imporre nuove regole alla professione giornalistica».

Per quanto, a oggi, non vi sia ancora alcun accordo ufficiale tra le autorità cambogiane e quelle russe, resta il fatto che il governo del primo ministro Hun Sen teme l’eventualità di una «colour revolution». Per intenderci con un esempio chiaro a tutti, l’«Umbrella Revolution» o «Umbrella Movement», che dal settembre del 2014 “minaccia” la stabilità politica e sociale di Hong Kong, è una tra le più recenti, forti e non violente «colour revolution». A farne le spese è sempre la democrazia che può fiorire solo laddove vi è una chiara ricerca della verità di ciò che accade.

Purtroppo, dopo una serie di esordi promettenti, le nuove tecnologie comunicative non stanno portando più democrazia nel mondo, «i conglomerati mediatici e le grandi potenze sono sempre più potenti […] e al maggior volume di informazioni non corrisponde un livello di comprensione più approfondito né tanto meno una maggior saggezza» (1). «Nel contempo la libertà di espressione – continua Ivo Quartiroli – si è arresa al controllo delle grandi corporation e delle agenzie governative». È quello che sta avvenendo anche in Cambogia e la richiesta di assistenza e training rivolta alla Tass fa pensare che la direzione auspicata sia quella di un controllo e di un’intolleranza verso ogni forma di dissenso.

Ora, quello che mi preoccupa non è solo il destino dei giornalisti, o dei politici intenzionati a giocarsi la vita nell’avventura del dissenso, ma anche quello dei comuni cittadini, piegati alle misure del potere. La posta in gioco non è solo la verità su ciò che accade, nella cronaca spicciola di ogni giorno, ma quella «prima bozza della storia», quelle prime e quotidiane narrazioni indispensabili alla coscienza di ciascuno per interpretarsi e interpretare la realtà. Non attraverso la sua riduzione ideologica, ma attraverso l’approfondimento del suo senso. L’informazione può contribuire a generare cittadini consapevoli come ridurli a sudditi. Può ispirarne i desideri più nobili come piegarli ai bisogni più infimi. Può formarli oppure distrarli con un bombardamento mediatico pervasivo. Chi comanda l’informazione comanda le coscienze, oggigiorno sempre più deboli e manipolabili. E la censura di regime, in questi casi, mi spaventa molto più della censura ecclesiastica. Perché il regime per sua natura riduce l’orizzonte, lo piega alla logica della propria sopravvivenza, mentre invece ciò di cui c’è bisogno è apertura.

George Orwell in 1984 aveva anticipato, forse per la prima volta nella storia, la figura del Grande Fratello, metafora della dittatura del potere, che agisce non più in forma violenta ma suadente, impercettibile e dall’interno delle coscienze. Si parla nel libro di una neo-lingua imposta dal regime. «Non ti accorgi che il principale intento della neo-lingua consiste proprio nel semplificare al massimo le possibilità del pensiero? […] Ogni anno ci saranno meno parole, e la possibilità di pensare delle proposizioni sarà sempre più ridotta» (2). In una società così descritta, l’informazione non amplifica, ma restringe e omologa, non promuove ma fa retrocedere, non forma ma crea analfabeti e sudditi, persone che non sanno né leggere né leggersi, persone facili da controllare, meri consumatori, senza né profondità d’animo né autonomia di pensiero: con «una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute», dice Nietzsche in Così parlò Zarathustra (3).

 

1. I. QUARTIROLI, Internet e l’io diviso: la consapevolezza di sè nel mondo digitale, Torino 2013, edizione digitale.

2. G. ORWELL, 1984, Milano 1989, 56.

3. Citato in U. GALIMBERTI, La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, Milano 2008, 374.