Mentre il bitcoin, la criptovaluta più diffusa al mondo, ha raggiunto il nuovo picco dal valore di 60.000 dollari, l’India prepara un disegno di legge per vietare l’utilizzo di criptovalute private, con lo scopo di creare una rupia digitale per preservare l’economia del Paese
L’India proporrà una legge che vieterà le criptovalute, criminalizzando l’emissione, il mining (cioè l’estrazione), il trading e anche il possesso di tali beni digitali. Ad anticiparlo è il quotidiano The Hindu. La proposta è una delle politiche più severe al mondo contro le criptovalute e se dovesse diventare legge, farebbe dell’India la prima grande economia a renderne illegale il possesso di questi strumenti finanziari; neanche la Cina, infatti, che ha vietato il mining e il trading, ne penalizza il possesso.
La proposta del governo arriva dopo che la Corte Suprema dell’India ha annullato, nel marzo 2020, un ordine del 2018 della banca centrale che vietava alle banche di trattare le criptovalute, spingendo gli investitori ad ammassarsi sul mercato. La Corte ha ordinato al governo di prendere una posizione e redigere una legge in materia.
A gennaio il governo aveva richiesto il divieto delle valute virtuali private con l’intento di costruire un quadro per la creazione di una rupia digitale come criptovaluta nazionale ufficiale. Le sanzioni non entrerebbero in azione subito: i possessori, infatti, avrebbero un periodo di garanzia di sei mesi per provvedere alla liquidazione.
Mentre l’India affronta questa proposta di legge, il Bitcoin – la più grande criptovaluta al mondo – ha raggiunto la quotazione record di 60.000 dollari lo scorso sabato, quasi raddoppiando il suo valore nell’ultimo anno. Il motivo di quest’aumento è dovuto all’accettazione sempre più diffusa della criptovaluta per i pagamenti e nel recente sostegno ottenuto dall’amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, che a febbraio ha annunciato di aver investito 1,5 miliardi di dollari in bitcoin. Inoltre, secondo una ricerca di Chainalysis citata dal Wall Street Journal, tra settembre e dicembre 2020 gli investimenti nella criptovaluta hanno fatto registrare un boom, con i grossi investitori che hanno comprato 11,5 miliardi di dollari in bitcoin.
Nato nel 2009 per essere una valuta alternativa, con lo scopo di affiancare o sostituire quella corrente nella compravendita di beni, il Bitcoin ha iniziato ad essere concepito come potenziale strumento di speculazione prima e investimento poi, portando ad una fortissima volatilità del suo valore, rendendolo un concorrente dell’oro come bene rifugio.
I dati presentati dal simulatore di trading di criptovalute, Crypto Parrot, indicano che il volume medio giornaliero di scambi a 30 giorni di Bitcoin è di 39,1 miliardi di dollari, un valore superiore rispetto agli scambi cumulativi delle azioni di Apple, Amazon, Microsoft, Alphabet e Facebook nello stesso periodo che invece ammonta a 37,68 miliardi di dollari.
Nonostante le minacce del governo, i volumi delle transazioni in India si stanno gonfiando e 8 milioni di investitori detengono ora 100 miliardi di rupie (1,4 miliardi di dollari) in cripto-investimenti, secondo le stime del settore. “Il rendimento si sta moltiplicando rapidamente ogni mese e nessuno vuole essere messo in disparte”, ha detto Sumnesh Salodkar, un cripto-investitore. “Anche se le persone sono nel panico a causa del potenziale divieto, l’avidità sta guidando queste scelte”.
Le registrazioni degli utenti e gli afflussi di denaro alla criptovaluta locale Bitbns sono aumentati di 30 volte rispetto a un anno fa, ha detto Gaurav Dahake, il suo amministratore delegato. Unocoin, una delle più consolidate piattaforme dell’India, ha aggiunto 20.000 utenti a gennaio e febbraio, nonostante le preoccupazioni del divieto.
La banca centrale dell’India ha espresso nuovamente la sua preoccupazione il mese scorso, citando quelli che ha detto essere i rischi per la stabilità finanziaria delle criptovalute quali la mancanza di controllo da parte di governo e banche, l’anonimato che non permette di individuare i dati personali del proprietario e il potenziale finanziamento di attività illecite. Ma la decisione del governo indiano sembra essere una scelta dettata soprattutto da motivazioni nazionaliste, con l’obiettivo di proteggere l’economia del Paese, anch’essa fortemente frenata dalla pandemia di coronavirus.