Contrariamente alle previsioni nel 2018 per la prima volta dalla fondazione della Cina comunista le nascite hanno fatto registrare un calo di 2,5 milioni rispetto al 2017. E già nel 2023 – cinque anni prima del previsto – la popolazione cinese smetterà di aumentare
Un recente rapporto di un forum globale di analisi demografica conferma che la Cina raggiungerò il top della sua curva demografica a 1,41 miliardi di abitanti, nel 2023, cinque anni prima di quanto previsto dai pianificatori di Pechino.
Il dato è centrale nel rapporto compilato dal network di organizzazioni specializzate in analisi economico-sociali e delle tecnologie avanzate tra cui Global Demographics e Complete Intelligence. Preoccupante a maggior ragione perché, sostiene Tony Nash – il fondatore della statunitense Complete Intelligence –, mostra “che le autorità cinesi hanno atteso troppo a lungo per mettere fine alla controversa politica del figlio unico in un tempo di accelerato invecchiamento della popolazione che va manifestandosi già da qualche tempo”.
Di fatto, le prospettive demografiche della Repubblica popolare cinese sono delineate da una serie di fattori, tra cui essenziali il numero in riduzione delle donne in età fertile – destinate secondo lo studio a un calo di 56 milioni tra il 2018 e il 2033 – e la loro scarsa propensione al matrimonio e alla maternità, che chiama in causa un netto cambio di sensibilità. Una tendenza che per diversi esperti potrebbe essere irreversibile per vari fattori a tra questi, determinanti, la riluttanza delle coppie ad avere più figli per le conseguenze economiche sulla famiglia.
La caratteristica “politica del figlio unico” ha segnato per decenni la vita delle famiglie cinesi, cercando ufficialmente di garantire la compatibilità tra crescita demografica e progresso. A un prezzo altissimo sul piano individuale e collettivo e alla fine con un risultato forse inatteso ma in linea con quello dei Paesi prossimi all’uscita dal sottosviluppo. Un voltafaccia che ha portato dal 2016 ad aprire ai due figli per coppia e alla piena liberalizzazione della prole, non ancora ufficializzata. Senza per questo convincere i cinesi che “figlio è bello” dopo anni di pressioni e punizioni e alla fine cozzando anzitutto con i nuovi stili di vita, incentivati dalla leadership comunista, preoccupata anzitutto della stabilità sociale e del suo ruolo più che delle conseguenze,che vanno invece manifestandosi in modo crescente e preoccupante. Non a caso, le nascite hanno visto per la prima volta dalla fondazione della Cina comunista 70 anni fa un calo di 2,5 milioni nel 2018 rispetto al 2017, contrariamente alle previsioni di un aumento di 790mila.
Una situazione che finirà per intersecarsi inevitabilmente con le dinamiche di una economia in ristrutturazione, accentuandone necessità e contraddizioni e ponendo i responsabili della pianificazione davanti a scelte assai difficili e con un ampio grado di imprevedibilità. Per quanto riguarda produzione e sostenibilità economica, anzitutto, dovendo contare in futuro su una forza-lavoro più vecchia e ridotta rispetto all’India – tanto per citare il rivale più prossimo anche su piano della consistenza demografica. Attualmente si prevede che il calo dei bambini cinesi entro i nove anni di età sarà del 17 per cento entro i prossimi 10 anni, mettendo in difficoltà anche tutto l’indotto produttivo, commerciale, assistenziale e educativo connesso a questa fascia di età. Sotto pressione per il numero di ultrasessantenni – che dovrebbe passare dai 17 per cento attuali a oltre il 30 per cento alla metà del secolo – sarà anche il sistema del welfare.