Il vescovo che dal 2012 è confinato nel seminario di Sheshan per aver preso le distanze dall’Associazione Patriottica scrive sul suo blog di «aver detto parole e compiuto gesti sbagliati che spero di poter correggere». Ritrattazione forzata o nuovo segnale di distensione con Pechino?
«Col senno di poi è stato un gesto poco accorto» e «spero di avere la possibilità di agire per correggere questo errore». È intorno a queste parole decisamente sorprendenti, apparse domenica sul blog del vescovo di Shanghai Taddeus Ma Daqin che in queste ore sta andando in scena un nuovo capitolo dell’annosa e delicatissima vicenda dei rapporti tra Roma e Pechino.
Si tratta infatti di una svolta in apparenza clamorosa. L’autore è infatti il quarantasettenne presule che da quattro anni vive segregato nel seminario diocesano di una delle maggiori diocesi cinesi, dopo che il 7 luglio 2012 – il giorno della sua ordinazione episcopale come vescovo coadiutore dell’anziano vescovo «ufficiale» Aloysius Jin Luxian (scomparso poi nel 2013) – con un gesto clamoroso annunciò pubblicamente che non avrebbe più potuto fare parte dell’Associazione Patriottica, l’associazione attraverso la quale le autorità cinesi mirano a «governare» le comunità cattoliche locali.
Quel gesto ha reso mons. Ma Daqin un simbolo della fedeltà a quanto scritto da Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi del 2007, nella quale i principi su cui si fonda l’Associazione patriottica vengono definiti «incompatibili con la dottrina cattolica». Anche se – pur essendo stato impedito a esercitare il suo ministero episcopale – il vescovo di Shanghai ha potuto comunque mantenere in questi anni un rapporto con l’esterno incontrando persone che si recavano presso il seminario di Sheshan e (ancora di più) continuando a pubblicare riflessioni spirituali sul suo blog. E proprio attraverso questo strumento è arrivata quella che appare come una «marcia indietro».
Degno di nota anche il contesto il cui sul blog sono inserite le frasi in questione: una serie di articoli dedicati proprio alla commemorazione del vescovo Jin Luxian – figura stimata da tutti i cattolici in Cina e grande testimone dell’unità di questa Chiesa, pur tra le mille difficioltà e persecuzioni vissute – di cui il 20 giugno ricorre il centenario della nascita. Ma Daqin scrive di rammaricarsi per il fatto che il suo gesto «ha minato lo sviluppo notevole della Chiesa cattolica di Shanghai, uno sviluppo che deve tanto a mons. Jin». Aggiunge di «aver pronunciato certe parole e compiutogesti nei confronti dell’Associazione Patriottica che non sono corretti». «Spero di poter agire in modo tale da correggere questi errori», conclude.
La domanda che tutti gli osservatori si pongono è oggi come interpretare queste parole. Non si può certo ignorare che a scriverle è un vescovo sottoposto a condizionamenti; ancora in marzo si era avuta notizia della chiusura del profilo che Ma Daqin teneva aperto su Weibo, il più popolare social network cinese, dopo che – in privato, ma insieme ad alcuni fedeli – avrebbe celebrato una Messa rivestendo gli abiti della dignità episcopale. Una possibilità, dunque, è che il presule sia stato indotto – più o meno forzatamente – a scrivere queste parole.
Va anche aggiunto, però, che questa svolta arriva proprio mentre da mesi ormai si parla apertamente di contatti tra Roma e Pechino che riguardano anche l’annosa vicenda della nomina dei vescovi. Viene dunque da chiedersi se la presa di posizione di mons. Ma Daqin – associata proprio alla memoria di mons. Jin Luxian – non vada letta anche come un tentativo di superamento della frattura che da tre anni ormai mantiene senza alcun vescovo una grande comunità cattolica com’è quella di Shanghai.