AL DI LA’ DEL MEKONG
Madre Teresa, una sete riflessa e appagata

Madre Teresa, una sete riflessa e appagata

Nel giorno in cui ricorre la festa della “santa degli ultimi”, padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia, racconta la celebrazione dell’Eucaristia con le Missionarie della Carità nella loro casa alla periferia di Phnom Penh. «Quando distribuisco la Comunione mi rende felice il fatto che Gesù, il Pane del Cielo, vada a posarsi sulle mani visibilmente sciupate dei loro ospiti, che nessuno accoglierebbe»

Ricorre oggi la festa liturgica di santa Madre Teresa di Calcutta. Nel suo ricordo sempre vivo attraverso l’opera delle Missionarie della Carità, le suore da lei fondate, pubblichiamo questo racconto di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia. Nella foto: la preghiera delle Missionarie della Carità sulla tomba di Madre Teresa qualche gionro fa nel giorno dell’anniversario della sua nascita.

Vado spesso a celebrare dalle Missionarie della Carità, in una delle loro case, alla periferia di Phnom Penh. Sarà forse per una reliquia di Madre Teresa, loro fondatrice, custodita nella cappella della casa o più semplicemente per l’abito che le suore vestono, quell’ormai famigliare sari bianco bordato di blu, o sarà forse per quella nuvola di partecipanti alla Messa, ospiti permanenti della casa, poveri, abbandonati e diversamente abili che nessun’altro accoglierebbe, sta di fatto che la presenza di Madre Teresa, lì dentro, è così evidente che, ogni qualvolta entro, la sento e con lo sguardo la cerco. Ebbene, credetemi, puntualmente la rivedo: nelle sisters indaffarate per le pulizie del mattino, ma che al suono della campana si affrettano alla preghiera; la rivedo negli ospiti dallo sguardo altrove, ma che non potrebbero essere altrove e che di lì a poco riceveranno il Corpo di Cristo, comprendendo o non comprendendo il senso di quel dono; la rivedo nella scritta “I thirst” (ho sete) accanto al Crocifisso, Lui che per quella sete e per quelle persone ha dato la vita.

Dicono che il colore bianco del sari rappresenta la verità mentre il blu al bordo dell’abito dovrebbe richiamare il colore degli occhi di Maria, la sua purezza: quel Cielo che la Madonna si porta dentro e che nessuno può violare. In realtà, come molti sanno, la santa di Calcutta non ha fondato solo le suore missionarie, ma anche alcune altre congregazioni, cinque per l’esattezza, tante quante le piaghe di Gesù. Pare che, assecondando la sua incontenibile indole mistica, Madre Teresa, avesse voluto, una dopo l’altra, quelle cinque congreghe proprio per curare quelle cinque piaghe. Nel 1950, infatti, comincia con le Missionaries of Charity Sisters, poi nel 1963 dà vita alla congregazione dei Missionaries of Charity Brothers. Nel 1976 è la volta del ramo contemplativo delle Sisters e poi, alcuni anni dopo, nel 1979, parte anche il ramo contemplativo dei Fratelli (Contemplative Brothers). Per finire, nel 1984, con i Missionaries of Charity Fathers, questa volta sacerdoti, anch’essi dediti al servizio dei più poveri tra i poveri. Cinque congregazioni per curare quelle cinque piaghe (di Gesù) ancora aperte sulla pelle dei più poveri.

Quando, celebrando, passo a distribuire la Comunione ai presenti, mi rende contento il fatto che Gesù vada a posarsi su quelle mani visibilmente sciupate da malattie aggressive che tirano i nervi, deformano i muscoli, disarticolano i gesti e rendono impossibile qualsiasi performance al di là di un semplice “Amen!”, in risposta al mio “Corpo di Cristo” pronunciato nell’atto di porgere loro il Pane del Cielo. In quel mio celebrare l’Eucarestia entro nella routine delle suore, sempre uguale eppure mai ripetitiva.

Così al termine della Messa recito insieme a loro le preghiere di ringraziamento. Una in particolare mi piace, attribuita al Cardinal John Henry Newman (1801-1890)e adattata dalle suore per la recita comunitaria. Le suore si rivolgono a Gesù con parole di una profondità inaudita: «Caro Gesù, aiutaci a diffondere il tuo profumo ovunque andiamo. Inonda le nostre anime con il tuo spirito e la tua vita. Penetra e possiedi tutto il nostro essere… Fa’ che ti predichiamo senza predicare: non con le parole, ma con il nostro esempio, con la forza che cattura, l’influenza contagiosa di ciò che facciamo, la pienezza evidente dell’amore che i nostri cuori portano per te. Amen».

Ritrovo tra le righe di questa preghiera la personalità, la fede sensibile, l’amore del cardinal Newman per Gesù e sento che quella forza che cattura, quella influenza contagiosa e quella pienezza evidente sono date, sono lì per me e per molti, grazie alla vita di queste sorelle per le quali io semplicemente celebro. Averle di fronte nello spazio sacro dell’Eucarestia impreziosisce il mio sacerdozio, lo porta ad un livello che da solo non riuscirei a raggiungere.

Infatti, celebrando, ogni volta si ripete la stessa scena. Si tratta di un momento particolare che rende quell’Eucarestia sempre unica proprio perché celebrata in quel luogo, in quella particolare cappella con quella scritta sul muro accanto alla croce, “I thirst”, a cui do sempre le spalle mentre presiedo l’Eucarestia. Se mi trovassi altrove non sarebbe la stessa cosa. Solo lì, ogni qualvolta innalzo il calice, dopo aver pronunciato sul vino le parole della consacrazione e nel momento della dossologia quando pronuncio le parole “Per Cristo, con Cristo e in Cristo …”, sulla superficie dorata della coppa che stringo tra le mani, innalzata appena sopra i miei occhi, vedo riflesso il mio volto, vedo la croce appena dietro e vedo la scritta “I thirst”.

Vedo tutto: il calice del Suo sangue, le mie mani che lo sorreggono, il mio volto, la Sua croce e la Sua sete riflessi. Per un istante quel “I thirst” diventa mio, divento io, e sento un invito a bere a quel calice che, solo, può dare alla mia sete il suo senso e la sua risposta. È una visione, impossibile altrove, segnata da un’estrema semplicità eppure così chiara da restituire a quel luogo, a quelle suore, a quegli ospiti, al mio sacerdozio, alla mia e loro sete, all’Eucarestia, il loro giusto senso. E mi dico, ecco come deve essere per essere come deve!

Comprendo, allo stesso modo, perché Madre Teresa chiedeva spesso alla Madonna non solo di custodire quelle cinque congregazioni, ma addirittura di «nasconderle dentro le piaghe di Gesù» immaginando di far corrispondere a ciascuna di esse una particolare piaga del Cristo, in quest’ordine: «i Fratelli e le Sorelle missionari corrispondono alle ferite delle mani, i Fratelli e le Sorelle contemplativi alle ferite dei piedi e i Sacerdoti alla ferita del Cuore di Gesù». Super!

Continuare a celebrare da loro è per me un vero onore.