Un libro dello scrittore inglese Alec Ash racconta le vite di sei figli della Cina d’oggi, fra voglia di emergere e bisogno di normalità
Sono 320 milioni i giovani cinesi di età compresa fra i 13 e i 30 anni. Pochi di loro sono nati prima delle proteste di piazza Tienanmen, nel 1989, che hanno segnato la Storia più recente della Cina, e nessuno comunque può dire di ricordarsene. Ne hanno sentito parlare, forse, dagli adulti, ma il desiderio di cambiamento, di libertà e di democrazia di quella stagione appartiene a un passato che non è loro.
Questi ragazzi, tutti cresciuti come viziatissimi principini e principesse in virtù della politica del figlio unico, sono gli eredi di un Paese che sta cambiando alla velocità della luce. Quali sono i loro sogni e come vivono? Sono davvero così diversi dalle generazioni che li hanno preceduti? Alec Ash, scrittore e giornalista inglese, ha provato a raccontarli nel libro Lanterne in volo, appena uscito da Add Editore. Anagraficamente, è uno di loro: è un trentenne che dieci anni fa, nell’estate delle Olimpiadi, si è trasferito a Pechino. I sei ragazzi protagonisti, tre maschi e tre femmine, sembrano eroi da romanzo, ma in realtà sono persone vere. Ash li ha conosciuti in vari modi, presentati da conoscenti o incontrati online, e si è fatto raccontare la loro storia. Ci ha messo tre anni a mettere insieme tutti i tasselli del mosaico, dialogando con loro in cinese e condividendo alcuni passaggi importanti della loro esistenza.
Le sei vite di questi giovani, nati fra il 1985 e il 1990, non hanno la pretesa di rappresentare tutta la loro generazione. La Cina è immensa ed è solcata da differenze abissali fra metropoli e campagna, fra privilegiati che appartengono ai nuovi ricchi o alle élite politiche, e contadini e operai che si barcamenano con un reddito da mera sopravvivenza, o che fanno parte di una minoranza etnica. La famiglia di provenienza oggi fa la differenza per un giovane cinese quasi più che per un coetaneo occidentale. Perché la Cina è un Paese decisamente diseguale. Pur provenendo da contesti geografici e sociali differenti, i protagonisti di Lanterne in volo sono accomunati dalla voglia di emergere. Per fare carriera, occorre entrare in una buona università, meglio se a Pechino. E per riuscirci, c’è un unico modo: superare con un voto giusto il gaokao, gli esami di ammissione che dicono in quale ateneo si potrà accedere. Per questo traguardo, i ragazzi cinesi delle superiori arrivano a studiare anche quattordici ore al giorno.
Per Fred, figlia di un funzionario di partito e secchiona, non è un problema: per lei si spalancano le porte della prestigiosa università Beida nella capitale. Anche Mia, cinese han proveniente dallo Xinjiang, viene accolta in una scuola di moda, all’università Tsinghua. Dahai, figlio di un impiegato dell’esercito, finisce a studiare informatica in un’università più periferica, mentre il figlio di contadini Snail entra in un’università tecnologica di Pechino. Solo Xiaoxiao, proveniente dall’estremo nord della Cina, studia arte in un ateneo della sua regione. Lucifer, invece, vuole diventare rockstar: a lui l’università non interessa, ma punta su Pechino per farsi conoscere e sfondare.
Gli studi sono una parentesi felice della vita. La strada in salita incomincia quando occorre inserirsi nel mondo del lavoro. La Cina non è il paradiso dei lavoratori. Pochi, come in Occidente, riescono nell’impresa di avviare un’attività imprenditoriale di successo. Qualcuno, inserendosi nelle nuove professioni, riesce a cambiare il suo destino: è il caso di Mia, che diventa una stylist di moda molto ricercata. Per chi vuole vivere a Pechino ma viene dalla provincia, si pone il problema dello hukou, il certificato di residenza. Chi non ce l’ha può restare e lavorare nella capitale, ma da cittadino di serie B, senza aver diritto a comprare una casa o godere di servizi come l’istruzione per i figli o l’assistenza sanitaria. Emblematica è la vicenda di Snail, che da ingegnere elettronico si trova costretto a vivere in uno scantinato umido e malsano.
Tra i temi interessanti che emergono dal libro, c’è la pressione sociale e familiare sui giovani affinché si sposino al più presto. Per le ragazze, il rischio è quello di diventare una “donna scarto”, una fase a rischio che inizia già dopo i 25 anni. A 35 anni c’è il capolinea: una donna nubile è ormai un caso disperato. Non che ai maschi vada meglio: la politica del figlio unico ha incoraggiato gli aborti delle bambine, creando uno squilibrio demografico (118 maschi ogni 100 femmine). Qualche giovane è destinato a restare un “ramo spoglio”, un single per costrizione. Soprattutto se non assolve a tre requisiti: avere un appartamento, un’auto e un gruzzolo.
L’evolversi delle storie personali dei protagonisti – a eccezione del rocker Lucifer e della modaiola Mia – denotano una sorta di “normalizzazione”: poco alla volta, tutti rientrano nel sistema e accettano il proprio destino, come hanno fatto le generazioni precedenti. In cambio di una vita che si prospetta, per un laureato, progressivamente più agiata. Questi millennial cinesi non sembrano poi così diversi dai loro genitori, quanto ad aspirazioni.
Anche in materia di politica, colpisce l’atteggiamento conservatore delle generazioni post Tienanmen. C’è consapevolezza dei mali della Cina, soprattutto della piaga della corruzione, ma i valori democratici non sembrano essere nel dna di questi ragazzi. Per loro conta l’orgoglio di essere figli di un Paese forte ed economicamente in crescita. E come ricorda Ash, nel 2014, quando i ragazzi di Hong Kong scesero per strada con il movimento Occupy Central in nome dei diritti, della libertà d’espressione e del suffragio universale, i loro coetanei cinesi giudicarono queste proteste antipatriottiche, illegali e persino ingrate. Tant’è che alcuni andarono in piazza per manifestare solidarietà a Pechino.
I millennial cinesi sono una generazione di passaggio in un Paese che sta vivendo un cambiamento vertiginoso. La loro è un’identità in evoluzione, in bilico tra il desiderio di emulare l’Occidente, ma solo per taluni aspetti, e il forte legame con le proprie radici culturali. In prevalenza, non si sono ancora sganciati – né forse mai lo faranno – dai valori della tradizione, soprattutto dal confuciano rispetto per la famiglia e per l’autorità.