Padre Emerson Gazetta, missionario brasiliano del Pime che opera nel Sud delle Filippine, nella diocesi di Ipil ha lasciato al clero locale la parrocchia di Sampoli per ricominciare da zero in un’area più povera
Far nascere una comunità e poi affidarla al clero locale appena è in grado di camminare da sola. Per andare, invece, là dove c’è ancora bisogno di un missionario. Se c’è un gesto che forse più di altri identifica il carisma del Pime è proprio questo passaggio del testimone: è successo tante volte nei 170 anni di storia dell’Istituto; e si è ripetuto di nuovo qualche mese fa nella diocesi di Ipil, Chiesa locale sull’isola di Mindanao, nel Sud delle Filippine, dove il Pime è presente fin dagli anni Ottanta. Padre Emerson Gazetta ha infatti lasciato la guida della parrocchia di Sampoli, fondata venticinque anni prima dai missionari dell’Istituto, per avviarne una nuova nella località di Tiayon, all’estrema periferia di Ipil. Una storia che si intreccia anche con quella personale di padre Emerson, arrivato fin qui dal suo Brasile ormai quattordici anni fa.
«Sono nato nel 1974 in un piccolo paese vicino ad Assis nello Stato di San Paolo – racconta -. La mia famiglia conosceva bene padre Antonio Alborghetti, un missionario del Pime di origini bergamasche che è stato per più di quarant’anni nel Sud del Brasile. Poi, quando avevo dieci anni, ci siamo trasferiti nel Mato Grosso, a 2.500 chilometri di distanza: mio padre mandava avanti un’azienda agricola, non è che frequentassimo così tanto la parrocchia. Ma a 18 anni ho cominciato a riflettere su che cosa volevo fare davvero della mia vita. È stato padre Alborghetti a dirmi: “Perché non missionario? Guarda la mia valigia…”. Gli ho subito risposto di no. Però poi ho cominciato a pensare a questo prete che aveva lasciato tutto per venire in mezzo a noi. E mi sono detto: perché non farlo anch’io?».
Così in Brasile è iniziato il suo cammino verso la missione: «I miei genitori mi hanno detto: “Basta che tu sia felice” – continua padre Gazetta -. Nel 1995 sono entrato nel seminario che il Pime aveva a Brusque: a guidarmi c’era padre Graziano Rota. Dopo sei mesi ero già tornato in campagna… Mi sentivo come un animale in gabbia, non mi sembrava la mia strada; sono tornato a lavorare alla fazenda con mio padre. Il Signore, però, continuava lo stesso a farsi sentire».
E allora ha bussato di nuovo al seminario del Pime. «I superiori e padre Rota mi hanno accolto rendendo quel ritorno facile e sereno – ricorda il missionario -. E sono iniziati lo studio della filosofia, l’anno di spiritualità, la teologia nel seminario di Monza, fino all’ordinazione sacerdotale nel 2006. Arrivato il momento della destinazione mi hanno chiesto se avevo preferenze: “Una missione in campagna, dove ci sia da camminare, incontrare la gente, una vita un po’ difficile…”, ho detto. “Ne abbiamo parecchie” è stata la risposta.
Nell’agosto 2007 sono arrivato nelle Filippine: la prima persona che ho trovato ad accogliermi a Manila è stato padre Giancarlo Bossi, da poco liberato dopo il suo rapimento».
Ben presto la sua strada ha incrociato quella di Sampoli, la missione del Pime nella diocesi di Ipil: «L’allora superiore regionale padre Gianni Sandalo mi propose di andare ad aiutare padre Ilario Trobbiani – spiega padre Gazetta -. Da anni ormai portava avanti l’ostello facendo del bene a tanti studenti, ma aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse nella pastorale. Ci andai più che volentieri: Sampoli è nell’interno, a più di settanta chilometri dal capoluogo; allora le strade erano ancora brutte, non arrivava internet come adesso. La vita era difficile, ma anche più autentica. I giovani, per esempio, non erano ancora schiavi del telefonino: lì non c’era proprio niente, tu proponevi un incontro e l’attenzione era garantita».
Dopo quei primi quattro anni padre Emerson pensa a un primo cambiamento: «A Mindanao parlavo il cebuano, ho chiesto di poter studiare anche il tagalog (la principale lingua delle Filippine), per aprirmi anche a un’altra prospettiva. L’ho studiato a Davao e fatto un po’ di pratica sull’isola di Lubang. Solo che mio padre si è ammalato di cancro: nel 2011 sono rientrato in Brasile ma è morto prima che arrivassi a salutarlo. Ero l’unico figlio maschio, con mia madre e le mie sorelle avevamo la fazenda da sistemare: per fortuna mio cognato ha scelto di portare avanti lui le attività e dopo otto mesi sono potuto ripartire per la missione». E la destinazione è stata ancora Sampoli. «Padre Ilario era ormai anziano, è andato a Lakewood, insieme a padre Stefano Mosca – racconta padre Emerson -.
Il parroco sono diventato io. Guidare la comunità in zone come queste non è una missione “tranquilla”: in tanti posti il primo annuncio è ancora da portare. Nelle Filippine, sì, tanti sono cattolici, ma solo nel senso delle pratiche rituali introdotte dagli spagnoli con i sacramenti e la devozione popolare: il Vangelo deve ancora entrare nel cuore. Si tratta allora di evangelizzare con un po’ di calma, seminare senza pretendere di raccogliere i frutti. Raggiungere da missionari cappelle poverissime, con tanta gente che porta nel proprio vissuto usanze ricevute dai propri antenati: c’è anche un cammino di purificazione da compiere, ma a piccoli passi».
Una strada che ora a Sampoli può proseguire anche in un altro modo: «Ho realizzato le ultime strutture che mancavano per le opere pastorali – commenta padre Gazetta -. Ma dopo ormai venticinque anni di presenza del Pime quella era diventata una parrocchia avviata, pronta ad essere consegnata al clero diocesano. Fa parte anche questo del nostro compito».
Così dall’anno scorso per il padre brasiliano del Pime nella diocesi di Ipil è cominciata una nuova missione: «Il vescovo ci ha chiesto un nuovo aiuto qui a Tiayon – spiega -. Mi ha affidato una piccola parrocchia che abbiamo avviato il 23 settembre, il giorno del patrono che è san Padre Pio.
Anche nelle Filippine i suoi devoti sono tanti e una signora ha donato al vescovo un terreno di due ettari per costruire una chiesa ponendo come condizione che fosse intitolata a lui. Si trova in una zona dove abitano circa 15 mila persone, in tutto sono “solo” 13 cappelle. Ma siamo nella periferia della periferia di Ipil: non è più città, ci arrampichiamo già sui monti, dove la gente è poverissima. In alcune cappelle non c’è neanche l’elettricità o il segnale del telefonino».
«Abbiamo cominciato praticamente da zero – continua padre Emerson -. Mi sono accorto che queste cappelle di periferia, lontanissime, erano state un po’ trascurate. Finora ci si era concentrati sul centro, dove c’è più gente e si possono celebrare i riti con facilità. Ma credo che il nostro lavoro debba iniziare dalla periferia, soprattutto per quanto riguarda i sacramenti».
Non mancano nemmeno le preoccupazioni per la sicurezza: «La zona è molto protetta dai militari e dalla polizia – racconta il missionario del Pime – ma Mindanao è sempre una pentola che bolle. Ci sono zone più pericolose di altre, soprattutto vicino al mare, dove abitano persone che hanno parenti nelle milizie islamiste di Abu Sayyaf. E, nonostante la polizia, se vogliono loro arrivano anche di giorno, rapiscono e portano via in barca. Dobbiamo essere molto prudenti, non fare sempre la stessa strada, non esporre in bacheca il programma del mese in modo che non si sappia in anticipo dove andiamo, non uscire di notte. Piccole accortezze ma importanti».
Intanto anche la missione cambia: «A Sampoli padre Ilario con l’ostello ha fatto tanto bene – commenta padre Emerson -. Ma oggi il mondo cambia in fretta: se facessimo qui la stessa cosa non funzionerebbe. Le persone sono le stesse, ma il contesto è ormai un altro. Gli studenti, dalle elementari fino alle superiori, non pensano più che un giorno lavoreranno la terra: sognano in grande, vogliono andare a Manila o all’estero. Questo desiderio di cambiare vita ha anche aspetti positivi, ma non è facile».
I doni che un missionario riceve restano comunque tanti: «Qui praticano molto l’accoglienza – osserva padre Gazetta -. Ragionano un po’ come facevo io con padre Alborghetti: hai lasciato il Brasile per stare qui insieme a noi. I poveri, soprattutto, sono molto inclini alle relazioni ed è un aspetto molto bello del popolo filippino».
Intanto la nuova parrocchia dedicata a Padre Pio muove i primi passi: «L’area per costruire la chiesa è tutta da ripulire; per ora sono venuto a vivere nella cappella più vicina e va bene così – spiega il parroco -. Insieme alla gente ci siamo rimboccati le maniche per finire la piccola struttura che ospita le attività in modo da averla pronta in tempo per la dedicazione, che è avvenuta a settembre. Al momento è più che sufficiente: tra il Covid-19 e la crisi la chiesa oggi rimane un sogno. Del resto sono venuto a evangelizzare, non a rompermi la testa sui progetti…».
Il Coronavirus si fa sentire anche nelle Filippine: com’è la situazione oggi a Mindanao? «Dipende molto dalle zone – risponde padre Emerson -. Qui a Ipil sono abbastanza rigidi nel rispetto delle regole: alla domenica nella cappella i posti sono contati e la gente riceve un numero per entrare; devo celebrare cinque o sei Messe. I morti comunque da noi sono pochissimi. La gente povera, però, deve lavorare: abitano in una catapecchia, come fai a dire loro che devono stare in casa? Per chi vive alla giornata è un grande problema. Però ci sono anche tanta disinformazione e corruzione intorno al Covid-19. L’anno prossimo qui nelle Filippine ci saranno le elezioni, vedremo come andrà a finire».