Da Dhaka padre Franco Cagnasso, missionario del Pime, commenta le parole del Papa su un probabile viaggio nel Paese nel 2017: «Saprà dirci parole di coraggio e di testimonianza cristiana che ci aiuteranno a ridimensionare le paure istintive e a vivere nella fede le paure che infondate non sono»
Dunque sul volo di ritorno da Baku e parlando dei prossimi viaggi apostolici la parola «Bangladesh» sembra sia quasi sfuggita al Papa, in associazione – come spesso accade – alla ben più nota e rilevante parola «India». Nessun gornalista l’ha raccolta, ma resta il fatto che – salvo smentite – l’anno prossimo Francesco verrebbe a visitarci.
Sarebbe bello!
Il ricordo delle poche ore di visita di Giovanni Paolo II nel 1986 qui in Bangladesh è ancora vivo; lo abbiamo ripreso quest’anno quando i preti ordinati da lui in quell’occasione hanno celebrato il loro trentesimo.
Sono cambiate tante cose, da allora. Il Paese è in fase di decisa crescita economica, la Chiesa cattolica è passata da 4 a 8 diocesi, e ha indubbiamente consolidato e collaudato organizzazione e strutture per andare avanti con le proprie forze, mentre il numero dei missionari si è assottigliato e la loro presenza fra non molto sarà quasi invisibile. Abbiamo persino inaugurato da poco un’«Università cattolica»!
I cattolici qui sentono in maniera molto forte il senso di appartenenza ad una realtà piu’ vasta, formata da tante chiese che fanno capo alla chiesa di Roma, e una visita del «capo» certamente li incoraggia.
Forse prima ancora che nella fede li incoraggia nella fierezza: ci siamo anche noi, e se qui siamo una piccola minoranza, nel mondo siamo una forza…
Al Papa i cattolici del Bangladesh vogliono bene, ma la sua opera ci raggiunge come un’eco lontana e smorzata. Per quel poco che lo si conosce, piace, risulta simpatico, e i vescovi si sforzano di far passare i messaggi fondamentali delle sue lettere e dei suoi messaggi. Piace la sua attenzione ai poveri, la sua semplicità; piacciono molto meno – anche se nessuno osa dirlo forte – i suoi interventi (così come vengono colti qui) a favore dell’accoglienza ai musulmani e – sembra un paradosso – anche ai migranti in genere. Dico «paradosso», perché anche fra i cristiani non sono pochi i «clandestini» e ancora recentemente – nonostante attentissimi controlli di vescovi e ambasciata – alcuni sedicenti pellegrini si sono squagliati nella folla di Roma e non hanno fatto ritorno.
Perché l’accoglienza li preoccupa? Non sono sicuro di capirlo bene, ma penso che si tratti di un timore analogo a quello di molti in Europa, che vedono la propria identità (vera o presunta) in pericolo; e se molti musulmani considerano le migrazioni come l’occasione offerta da Dio per islamizzare quel continente, i cristiani temono che sia proprio così, però non per grazia di Dio, ma per l’ingenuità e la debolezza degli europei, e anche del Papa (che – dicono – è sudamericano e quindi conosce ancora meno i musulmani). Questo e’ il sentire «di pelle» della gente, e anche il commento più esplicito di parecchi preti e qualche vescovo. Quasi quasi, fa piacere che il terrorismo abbia colpito anche il Vecchio Continente: chissà che le bombe riescano a svegliarlo e a renderlo più guardingo e forte?
Se il Papa verrà, comunque sarà una gioia grande, non solo per i cattolici ma per quasi tutti i cristiani e moltissimi indù e musulmani.
Persino l’Awami League, il partito di governo, sarà contento di far vedere quanto prestigio ha il Paese sotto la guida della sua inossidabile presidente, il primo ministro Sheikh Hasina… Qualcuno sarà preoccupato che tanta visibilità possa incattivire il fondamentalismo e anche il terrorismo, che recentemente hanno alzato la testa colpendo duramente. Non è da escludere che ci sia anche questo pericolo, ma val la pena correrlo: il Papa saprà certamente ascoltare anche l’espressione di questi timori, e dire parole di coraggio e di testimonianza cristiana che ci aiuteranno a ridimensionare le paure istintive e a vivere nella fede le paure che infondate non sono.
Saprà anche trovare parole che incoraggino atteggiamenti e scelte missionarie e pastorali, sempre a rischio di essere assorbiti dalle preoccupazioni organizzative, economiche, celebrative, di prestigio… Sì, anche in questa piccola chiesa abbiamo bisogno di ricordarci che le persone, specialmente chi è povero e soffre, e non le cose o i nostri programmi, sono al cuore del messaggio e della vita della chiesa.
Spero proprio che venga…