Confrontarsi con i ragazzi e le ragazze della capitale giapponese significa incontrarli nei loro luoghi fisici ed esistenziali. Il racconto di padre Andrea Lembo del Pime alla vigilia del Sinodo sui giovani
«Ho in mente un ragazzino, Koe. Prima ha cominciato a non andare a scuola, poi ha avuto grandi conflitti con il padre che l’hanno spinto a uscire di casa e ad affittarsi un minuscolo spazio in un Internet cafè, dove è rimasto rinchiuso per due anni. Aveva creato un piccolo business on line di compravendita di smartphone e tablet usati, che gli permetteva di avere soldi sul conto corrente. Faceva arrivare il cibo davanti alla porta della sua stanza di quattro metri per cinque, e i farmaci quando era malato».
Padre Andrea Lembo ha 43 anni ed è missionario del Pime in Giappone dal 2009. Ha esercitato il suo ministero in parrocchia, ha creato a Tokyo un centro culturale frequentato non solo da cristiani, e dallo scorso anno è responsabile della comunità dei missionari del Pime in Giappone. Ma nell’arco di questi dieci anni c’è stata una costante nella sua vita: l’attenzione ai giovani. «Mi piace stare con loro – racconta -. Sono arrivato in Giappone da giovane e mi è venuto naturale occuparmi dei giovani, poi mi sono appassionato al loro mondo. L’età fra i 22 e i 25 anni è il passaggio più delicato».
Padre Andrea è diventato esperto di una tra le moltre problematiche del mondo giovanile in Giappone: quella che riguarda i cosiddetti hikikomori, i ragazzi che si chiudono in casa, a volte per anni, e rifiutano qualsiasi contatto con l’esterno. «È un’esperienza che segna tutta la vita – spiega -. Non si guarisce completamente anche perché, più che essere una reclusione nei confronti dell’esterno è una chiusura in se stessi, che porta a separarsi dalla propria vita, a una sorta di suicidio interiore. Se vogliamo fare un parallelismo con la società occidentale, è una sorta di anoressia psicologica, è smettere di nutrirsi delle relazioni».
Il metodo che padre Andrea usa per avvicinare questi giovani reclusi è semplice: altri giovani. Quelli che frequentano la sua parrocchia della chiesa della Sacra Famiglia a Fuchu, nella periferia di Tokyo, e quelli che partecipano agli incontri culturali del Centro Galilea che ha fondato più in centro, vicino alla stazione di Funabashi. Ma anche quelli incontrati in luoghi “alternativi”, dalle birrerie alle piscine comunali.
È un lavoro di rete che vede al centro il missionario del Pime e un’équipe informale di una decina di ragazzi e ragazze, che cambia ogni due anni. «Quando ho scritto per la prima volta a Koe, via mail, non sapeva cosa fosse un prete, e non riusciva a capire perché lo contattassi – continua padre Lembo -. Poi c’è stato un intervento di grande pazienza da parte di un ragazzo dell’équipe, che gli ha raccontato di me. Si è instaurato un rapporto di fiducia, lo scambio di mail è proseguito fino a quando sono riuscito ad andarlo a trovare».
Una volta superato l’ostacolo dell’incontro “reale”, padre Lembo prova a raggiungere un ulteriore obiettivo: «Cerco di seminare nel cuore la nostalgia per la bellezza della vita. Nel dialogo con Koe ho iniziato a evocare ricordi e immagini molto semplici. C’è un incrocio a Tokyo dove passano migliaia di ragazzi, ogni giorno alla fine della scuola. Gli dicevo: “Pensa come sarebbe bello poter essere lì al tramonto, vedere lo skyline della città”, oppure: “Anziché essere in questa stanza a parlare, potremmo berci una birra in un locale. Verrò io con te”. Solo quando si arriva al traguardo di uscire di casa si può affrontare il passo successivo: risalire al momento nel quale la vita ha preso questa direzione. Sono passaggi molto dolorosi. Koe mi ha raccontato di essere stato vittima di bullismo a scuola, e si rammaricava di non essere “nemmeno” riuscito a suicidarsi».
Oggi Koe ha 29 anni e da tre lavora in una struttura per anziani come assistente sanitario. È tornato sulla carreggiata della vita e, grazie alla vicinanza di altri giovani, ha ricominciato a intessere rapporti belli e significativi. Ma non sempre c’è il lieto fine: «Ho seguito persone che hanno deciso di togliersi la vita ed è stato molto doloroso – confida padre Andrea -. Su questo mi confronto molto con l’arcivescovo emerito di Tokyo, Paul Kazuhiro Mori, che ritengo una delle persone più illuminate della Chiesa e della società giapponesi». Il vescovo Mori ha inaugurato tempo fa una nuova modalità di presenza fra i giovani, creando un centro culturale indipendente dalla parrocchia. È sulla scia di questo esperimento che padre Andrea, insieme al suo parroco padre Takeshi Ohara, ha creato il Centro Galilea, che organizza incontri aperti a tutti sulla società, la politica e le religioni e che si avvale all’attività gratuita di una cinquantina di volontari.
L’Instrumentum laboris, il documento praparatorio del Sinodo per i giovani, si apre dicendo che la Chiesa deve mettersi in ascolto della realtà. Secondo padre Lembo è un’indicazione preziosa: «A Tokyo, come comunità cristiana cerchiamo di rimanere in ascolto delle necessità della città. Oso dire, soprattutto a partire dalla mia attività con i giovani, che ci sono forme di appartenenza alla Chiesa e di evangelizzazione che non devono essere incasellate nel modello della parrocchia. Anche con il nuovo arcivescovo di Tokyo, che è un missionario verbita, siamo riusciti a portare avanti questa linea. Quando è venuto da me per incontrare i ragazzi della cresima gli ho spiegato che avevo creato una serie di dodici incontri perché riuscissero a frequentarne almeno tre. Poi, in realtà, quasi tutti hanno seguito l’80% del percorso, perché se fai cose interessanti i ragazzi partecipano».
La vita degli adolescenti giapponesi è incentrata sullo studio, e dai 15 anni anche sul lavoro. È difficilissimo entrare all’università. «È lì che partono i suicidi – continua padre Lembo -. Bisogna avere una media di voti alta e superare il test d’ingresso. Esistono scuole elementari già associate alle università e i bambini si preparano fin da piccoli. Dopo le lezioni, che terminano alle 18, c’è la scuola parallela, che prepara a superare i test per accedere all’anno successivo. Alle otto di sera incontro ancora bambini delle elementari sulla metropolitana. Dai 15 anni molti cominciano a lavorare per pagarsi gli studi».
I ragazzi che tornano in parrocchia per la Cresima sanno poco o niente della fede cristiana. «Magari hanno ricevuto la comunione e poi non sono venuti più in chiesa – spiega padre Lembo -. A me sta a cuore soprattutto che abbiano la “percezione” di essere cristiani cattolici, che nei momenti importanti della loro vita si ricordino che hanno incontrato una persona che si chiama Gesù. Questo per me è il segno che sono in cammino verso una riscoperta profonda della loro fede». In parrocchia e nel Centro Galilea, padre Andrea guida i giovani alla scoperta dell’attualità del Vangelo. «Di recente ho proposto una lettura psicoanalitica profonda dei miracoli di Gesù. Per esempio la moltiplicazione dei pani: ciò che tengo per me stesso muore con me, mentre ciò che riesco a condividere può sfamare cinquemila persone. Oppure il miracolo dell’emorroissa. Gesù si accorge che qualcuno l’ha toccato e sente che inconsapevolmente esce da lui un’energia positiva. Ci siamo chiesti: “Quali sono le energie della nostra vita? Che tipo di energia gli altri prendono da noi? Che tipo di persone siamo? Freniamo le emorragie – ovvero rispondiamo alla sete di relazioni positive di chi è intorno a noi – o diventiamo un nuovo fattore di sofferenza per gli altri?”».
Tra i ragazzi capita a volte di fare incontri singolari, come quello con Niwaki. Ma prima di raccontarlo, padre Andrea cita la Gaudium et Spes, la costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa e il mondo contemporaneo: «C’è un paragrafo, il 22, che dice che la missione di Cristo agisce in modo visibile attraverso la Chiesa. Poi c’è un modo invisibile per il quale lo Spirito agisce, unendo tutte le donne e gli uomini di buona volontà nel mistero pasquale di Cristo. La sfida della missione in Giappone è andare a vedere dove lo Spirito sta agendo in modo invisibile, e lo dico con fede».
Padre Andrea riprende a raccontare: «Un giorno in parrocchia mi hanno detto che un ragazzo tornato in famiglia dopo quattro anni fuori di casa voleva conoscermi. Si è presentato Niwaki, pieno di tatuaggi, e mi ha detto: “Io sono come il figliol prodigo. Sono tornato a casa perché avevo fame”. Quando gli ho dato il modulo per la richiesta della cresima, l’ha compilato con la sua data di nascita e la data del battesimo. Sono rimasto ancora più sorpreso quando me l’ha mostrata tatuata sul braccio. Mi ha spiegato che l’aveva sempre tenuta cara da quando era uscito di casa e che era legata a ricordi positivi di quando da bambino frequentava la parrocchia. Da adolescente, invece, era stato vittima di bullismo a scuola. Con Niwaki ho svolto una lettura psicoanalitica profonda della parabola del Figliol prodigo. Poi ho riportato al vescovo il suo punto di vista: “Datemi una buona ragione perché io venga in chiesa”, mi diceva Niwaki. “Ditemi perché devo venire a sentire letture, prediche, segni che non fanno più parte della mia vita”. Sono convinto che in questi sentimenti di memoria e ricerca ci sia lo Spirito Santo che lavora. Dobbiamo intercettare questi movimenti. Se riuscissimo come Chiesa a creare dei “percorsi differenziali”, come suggeriva il cardinale Carlo Maria Martini, e a differenziare le modalità d’espressione della fede, avremmo un recupero fantastico del mondo giovanile». Padre Andrea entra in contatto con le domande dei giovani nei luoghi più vari – dalla birreria alla piscina, alla palestra – attraverso un passaparola di incontri. «Alcuni incontri funzionano, altri falliscono – conclude -. Ma come comunità cristiana restiamo in ascolto dei giovani e di quello che hanno da dirci».