Padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata a Ulaanbaatar, racconta il Coronavirus visto dalla nazione con la più bassa densità di popolazione al mondo: «Ci riteniamo in qualche modo più fortunati di altri. Ma riconosciamoci tutti con umiltà nella nostra fragile natura, quella che ci accomuna oltre i confini geografici, culturali, religiosi ed economici»
Un Paese grande cinque volte l’Italia, ma con circa gli stessi abitanti della sola provincia di Milano. La Mongolia ha la densità di popolazione più bassa al mondo (2,07 ab./kmq); uno dei motivi per cui, nell’altipiano di steppe e deserti tra Russia e Cina, non sono stati registrati casi di decessi legati al Covid-19.
«Nella capitale Ulaanbaatar, dove mi trovo, ci riteniamo in qualche modo più fortunati di altri – testimonia padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata, in Mongolia dal 2004 -. Alle prime notizie divulgate dai media internazionali, il governo è prontamente intervenuto. Già alla fine di gennaio erano stati chiusi i confini. E, successivamente, sono stati adottati tutti quei provvedimenti relativi ad un parziale lockdown».
Tanto che nel Paese si contano zero decessi legati al virus. «Dei 328 casi di positività dichiarate, 312 riguardano pazienti già dimessi – prosegue il religioso bergamasco, precedentemente missionario nello Zaire (1979-1991) -: si tratta di cittadini mongoli rientrati dall’estero, e prontamente messi in quarantena nelle apposite strutture sanitarie».
Anche la Chiesa locale (in tutta la Mongolia ci sono circa 1350 cattolici) è stata coinvolta dai provvedimenti governativi. «Fin dall’inizio, con la chiusura dei luoghi di culto, abbiamo veicolato tutte le celebrazioni liturgiche e le catechesi sui social media – spiega il missionario classe ’51 -. Da settembre, considerando che non ci sono casi epidemici tra la popolazione, ci è stato dato il permesso di riapertura. E così, seppur con le dovute precauzioni, nelle comunità cristiane sono ricominciate alcune attività: celebrazioni eucaristiche, catechesi, visite e sostegno alle famiglie. In attesa di un possibile ritorno alla normalità».
Anche perché nelle ultime settimane, fuori dalla Mongolia, i numeri del contagio sono tornati a crescere. «Una tragedia: una nuova ondata proprio nel momento in cui il virus sembrava quasi addomesticato. L’uomo non è onnipotente e, pur creato a immagine di Dio, non è Dio. Riconosciamoci con umiltà nella nostra fragile natura, quella che ci accomuna oltre i confini geografici, culturali, religiosi ed economici. In questo modo potremmo pensare ad una nuova “humanitas” globale, dove le persone e il loro habitat, partendo certamente dal basso, possano ritrovare la loro giusta centralità rispetto ad altre cose. Ce lo auguriamo. Ma dobbiamo anche impegnarci per realizzarlo».