«Myanmar, sepolti da una valanga di ingiustizia»

«Myanmar, sepolti da una valanga di ingiustizia»

Le dure parole del cardinale arcivescovo di Yangon, Charles Bo, ai funerali delle 172 vittime della frana nella miniera di giava, tra cui anche alcuni cristiani. Un affare da miliardi di dollari fondato su illegalità e corruzione favorite dalla guerra dimenticata tra l’esercito birmano e le milizie kachin

 

Le 172 vittime del disastro nella miniera di Wai Khar non sono state sepolte solo dal fango «ma anche da una valanga di ingiustizia». È quanto ha denunciato l’arcivescovo di Yangon, il cardinale Charles Bo, durante i funerali delle vittime della tragedia avvenuta qualche giorno fa in una miniera di giada del Myanmar. Un nuovo disastro che ha riportato in primo piano le pessime condizioni di lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori che – principalmente nella regione dello Stato Kachin – operano senza le più elementari protezioni in miniere che alimentano un giro d’affari stimato in oltre 30 miliardi di dollari l’anno.

Tra le 172 vittime dell’ultima tragedia- riferisce l’agenzia UcaNews – c’erano anche una trentina di cristiani tra cui tre cattolici; ed è stato durante le loro esequie che il cardinale Bo ha lanciato il suo atto di accusa. «Papa Francesco – ha ricordato – ha alzato la voce contro lo tsunami senza fine dell’ingiustizia economica e ambientale contro i poveri in tutto il mondo. Quanti sono morti sono stati sacrificati sull’altare dell’avidità, da una totale negligenza e arroganza delle compagnie che continuano a spogliare della loro umanità i poveri di questa terra. La tragedia nella miniera è un tragico monito sulla necessità di condividere i tesori della natura donati da Dio. E i tesori del Myanmar appartengono alla gente del Myanmar. Non è la prima volta – ha aggiunto l’arcivescovo di Yangon – che siamo colpiti da una tragedia spietata come questa e, se gli operatori interessati non risponderanno con compassione e giustizia, non sarà nemmeno l’ultima».

La questione dello sfruttamento dei giacimenti di giada si intreccia con il conflitto tra l’esercito birmano e gli indipendentisti Kachin, che da decenni scuote questa regione del nord del Myanmar, al confine con la Cina. Molti osservatori tra cui l’organizzazione ambientalista Global Witness ritengono che sia proprio l’esercito di Yangon a controllare il grosso del mercato della giada che viene venduta illegalmente sul mercato nero cinese, di fatto spogliando la popolazione locale di questa ricchezza. «Un solo chilo della giada della qualità migliore – spiegava già qualche anno fa Global Witness nel suo rapporto – basterebbe a finanziare 147 cliniche nello Stato dei Kachin, facendo una differenza enorme in termini di sviluppo».