Una tragedia senza fine per le popolazioni locali e le comunità cattoliche alle prese con le violenze dei militari che hanno spazzato via la democrazia. Il 15 febbraio una veglia di preghiera e solidarietà ad Agrate, da dove partì per la Birmania il beato Clemente Vismara. Dal Centro Pime una raccolta fondi per l’assistenza alle migliaia di sfollati delle diocesi di Taungoo e un Taunggiy
Mentre scrivo, il 1 febbraio (ieri per chi legge) i popoli del Myanmar e molti loro amici in tutto il mondo ricordano, con angoscia, il primo anniversario dello sciagurato colpo di stato militare che ha gettato il Paese nella violenza e nella disperazione. Il promettente processo di democratizzazione e progresso è stato spezzato, e il Paese si riavvolge al passato, come in uno spaventoso film dell’orrore.
I militari, che avevano sempre mantenuto il controllo nelle questioni di sicurezza interna e nelle zone di confine, si sono ripreso tutto il potere, dopo che il premio Nobel Aung San Suu Kyi e il suo partito avevano stravinto le elezioni generali di qualche mese prima. Aung San Suu Kyi, 76 anni, è stata condannata a sei anni di carcere in ignobili processi farsa. Le accuse? Violazione di segreto di stato, possesso di walkie-talkie e pubblicazione di informazioni allarmistiche.
Il capo della giunta è il crudele e spregiudicato generale Min Aung Hlaing. Come capo dell’esercito era lui il responsabile degli attacchi alle minoranze etniche, inclusi i Rohingya. Per questo, già prima del golpe, aveva ricevuto condanne e sanzioni internazionali.
Da quando i militari, gente senza alcuna sembianza di umanità, hanno compiuto il colpo di stato ci sono state proteste popolari, all’inizio non violente, soffocate con feroce repressione. Si contano ufficialmente almeno 1500 persone uccise, quasi tutte giovani: ma secondo gli osservatori il numero è assai più alto, fino a 10.000. Decine di migliaia gli attivisti arrestati, prelevati dalle loro case, torturati e fatti sparire.
Gruppi etnici che compongono la variegata mappa birmana sono passati dalla disobbedienza civile alla resistenza civile e armata. Questo avviene nelle aree di confine, da sempre le zone più sensibili del Myanmar. I militari rispondono massacrando il proprio popolo con bombardamenti, rappresaglie, saccheggi, torture, esodi forzati e famiglie che abbandonano le case. Non si contano coloro che sono oppressi da innumerevoli disgrazie: la fame, l’impossibilità di accedere alle cure e all’istruzione, la mancanza di un rifugio sicuro. Dopo anni di crescita, metà popolazione è discesa sotto la soglia della povertà. La gente è disperata.
Il Myanmar, già Birmania, è un paese di 54 milioni di abitanti. La maggior parte appartiene al popolo birmano e pratica la fede buddhista. Ma ci sono numerosi altri popoli che vivono nel Myanmar – nelle zone di confine – con lingua e cultura propria. Tra loro i Karen, i Kachin, i Kayah, gli Shan, i Chin, i Rohingya ecc… Il cristianesimo è particolarmente diffuso tra questi gruppi ‘di minoranza’, ad eccezione dei Rohingya, di religione musulmana.
Dopo la lunga notte della dittatura militare (1962-2012) la democrazia era stata conquistata grazie alla rivoluzione dei monaci buddhisti (detta di saffron, ovvero il color dorato-zafferano del saio buddhista). Ma dopo il colpo di stato del 2021 anche i cattolici – compresi religiose, preti, seminaristi e numerosi laici – sono scesi sulle strade contro la repressione. La foto di suor Ann Rose Nu Tawng inginocchiata davanti al plotone di polizia è assunta a simbolo della pacifica rivolta delle genti del Myanmar. La reazione dei militari contro i cattolici è stata spietata: attacchi e distruzioni di chiese, cliniche, case; uccisioni di personale nelle parrocchie; rapimento di suore; attacchi a villaggi costringendo le famiglie cristiane a fuggire e a nascondersi nelle montagne e nelle foreste.
La crudeltà militare ha raggiunto un orribile apice la vigilia di Natale, quando hanno massacrato almeno 38 persone, incluse donne e bambini e operatori della ong Save the Children, nel villaggio cristiano di Mo So, stato di Kayah, nella zona orientale del paese.
I missionari del Pime sono presenti nel Myanmar dal 1868: è una delle loro missioni storiche. Vi hanno evangelizzato grandi missionari, tra i quali i beati Paolo Manna, Alfredo Cremonesi e Mario Vergara (gli ultimi due martiri), e il beato Clemente Vismara, il missionario-scrittore che ha vissuto in Myanmar per 65 anni. Ed è proprio ad Agrate Brianza, la patria di Vismara, dove formatori e alunni del seminario internazionale del Pime di Monza si riuniranno in preghiera il 15 febbraio 2022. Ascolteremo testimonianze di comunione con le nostre sorelle e fratelli del Myanmar, mentre vivono una prova tremenda. La preghiera è in presenza, presso la chiesa di Sant’Eusebio di Agrate. Ci si potrà unire anche in streaming sul canale YouTube del Seminario Pime.
Accanto all preghiera invitiamo tutti a sostenere anche i progetti di soccorso nel Paese lanciati proprio in queste ore dal Centro missionario del Pime di Milano: con il Fondo di emergenza S145 Emergenza Myanmar si dà un aiuto a migliaia di persone sostenendo la rete di accoglienza che le diocesi di Taungoo e di Taunggyi hanno allestito insieme a tante altre realtà religiose locali. Gli aiuti sostengono i bisogni elementari: un tetto, il cibo, una scuola per i più piccoli, che da due anni ormai – tra pandemia e guerra – non la frequentano più. E possibile saperne di più e compiere una donazione direttamente on line a questo link.