Mentre Manila si organizza per far partire la campagna vaccinale contro il Covid-19 nel secondo Paese più colpito del sud-est asiatico, tra la gente pesa lo scetticismo lasciato in eredità da una fallimentare esperienza del 2016 che ha fatto fare alle Filippine passi indietro pesanti nel tasso di vaccinazione dei bambini
Giovedì scorso Manila ha approvato in emergenza l’utilizzo del primo vaccino per la campagna che prenderà avvio a febbraio. Si tratta di quello elaborato e prodotto dall’azienda anglo-svedese AstraZeneca. Una situazione particolarmente difficile quella filippina con oltre mezzo milione di contagi e 10mila decessi, che unisce alla precarietà del sistema sanitario, la densità di popolazione, la frammentazione dell’arcipelago e la scarsità di fondi.
Il Paese è ai primi posti in Asia come casi e come vittime della pandemia di Covid-19, il secondo nel Sud-Est asiatico dopo l’Indonesia che ha oltre il doppio dei suoi abitanti. Molto difficile e soprattutto incerto il suo percorso verso una qualche forma di ripresa dopo un anno caratterizzato da estesi e severi lockdown che hanno contenuto il contagio ma hanno avuto pesantissime conseguenze sulla popolazione, in particolare per i filippini già spesso vicini o al di sotto della soglia di povertà.
Un incubo logistico, anche quello di dover procedere con una campagna di questo genere destinata a vaccinare 70 milioni di persone entro l’anno in un arcipelago con oltre 2.000 isole abitate e con strutture già abitualmente inadeguate a rispondere alle necessità medico-sanitarie di 108 milioni di abitanti.
Le autorità, però, nelle Filippine si trovano anche ad affrontare una situazione unica che deriva dalla circolazione di notizie fantasiose di ogni genere e teorie cospiratorie come quella che consentirebbe al presidente Rodrigo Duterte di utilizzare la campagna vaccinale per dare il colpo finale alla guerriglia islamista e quella comunista nelle regioni meridionali dell’arcipelago. Il governatore della provincia meridionale di Lanao del Sur, Nasser Alimoda, medico, segnala con chiarezza questo problema: “ Alcune delle informazioni che circolano via Facebook o nelle chat parlano di un microchip contenuto nelle dosi di vaccino che può essere controllato a distanza e che, se il presidente lo desiderasse, potrebbe essere attivato premendo un pulsante e uccidendo chi è stato sottoposto a vaccinazione”.
Ancora più pressanti poi quelle che incentivano allo scetticismo e anche al timore sull’efficacia o anche su effetti negativi del vaccinazione, perché basate su timori nati da una fallimentare esperienza di qualche anno fa della vaccinazione contro la dengue utilizzando un vaccino di produzione francese. Scetticismo e timori fatti propri anche da una parte consistente del personale sanitario.
Utilizzato nel 2016 su 800mila bambini prima di essere ritirato dal commercio dalla stessa azienda produttrice per i suoi effetti potenzialmente negativi (anche se mai provati scientificamente) su piccoli non esposti in precedenza al contagio, il Dengvaxia ha segnato profondamente la fiducia della popolazione verso i vaccini. Al punto che le Filippine sono passate in pochi anni dal 10° posto tra le nazioni più favorevoli alle vaccinazioni al 70° dello scorso anno e i bambini totalmente coperti dalle vaccinazioni dall’85 per cento del 2010 al 69 per cento del 2019.