Il Premio Nobel per la pace Kailash Satyarthi è a Milano l’8 febbraio, ospite di Pime, Mani Tese e Caritas, per la Giornata contro la tratta. Una testimonianza forte contro il traffico e lo sfruttamento minorile
Nel 2014, l’indiano Kailash Satyarthi è stato insignito del Premio Nobel per la Pace insieme alla pakistana Malala Yousafzay. Da molti anni, lavora instancabilmente per liberare bambini e adulti da varie forme di schiavitù, lottando contro il lavoro minorile, lo sfruttamento e la sopraffazione dei più piccoli. Un impegno che ha pagato a caro prezzo, dall’incomprensione della famiglia, che condannava la sua lotta per abolire le caste in India, alle forze dell’ordine che lo hanno sbattuto in prigione. Ma lui non si è mai arreso: ha cambiato il suo nome in Satyarthi, che significa “cercatore di verità, e ha continuato a battersi a livello globale contro il traffico di esseri umani e lo sfruttamento lavorativo soprattutto dei minori. Oggi è uno dei più attivi sostenitori della campagna dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) “50 for Freedom”, che promuove l’implementazione del Protocollo contro il lavoro forzato, con l’obiettivo di raggiungere la ratifica da parte dei primi 50 Stati entro il 2018. «Schiavitù e civiltà non possono coesistere – ha detto Satyarthi in occasione del lancio della campagna -. È intollerabile, è inaccettabile, non è negoziabile».
La sua storia di attivista comincia da lontano, quando aveva 11 anni, con un momento di rabbia, trasformata in idea e azione, come racconta lui stesso in questo testo.
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Quando avevo 11 anni, vedendo alcuni amici lasciare la scuola perché i loro genitori non potevano permettersi di pagare i libri di testo, mi sono molto arrabbiato. A 27 anni, venendo a conoscenza del dramma di un padre ridotto in schiavitù e disperato perché la figlia stava per essere venduta a un bordello, mi sono molto arrabbiato. All’età di 50 anni, sdraiato in strada, in una pozza di sangue, insieme a mio figlio, mi sono di nuovo molto arrabbiato. Per secoli ci hanno insegnato che la rabbia è un male. Genitori, insegnanti, sacerdoti, tutti ci hanno educato a come controllare e sopprimere la rabbia. Ma mi chiedo perché. Perché non possiamo invece convertire la nostra rabbia in un bene più grande che riguardi tutta la società? Perché non usare la nostra rabbia per sfidare e cambiare i mali del mondo? È quello che ho cercato di fare.
La maggior parte delle mie idee migliori è scaturita da situazioni di rabbia. Come quando, a 35 anni, me ne stavo seduto in una minuscola prigione, chiuso a chiave. Per tutta la notte, ero molto arrabbiato. Questo ha dato vita a una nuova idea…. Ma prima vorrei raccontare la storia di come ho cambiato il mio nome.
Sin dall’infanzia, sono stato un grande ammiratore del Mahatma Gandhi. Gandhi ha combattuto e ha guidato il movimento per la libertà dell’India. Ma, cosa ancora più importante, ci ha insegnato come trattare i più vulnerabili, le persone indigenti, con dignità e rispetto. E così, quando l’India stava celebrando il centenario della nascita del Mahatma Gandhi nel 1969 – a quel tempo avevo 15 anni – mi è venuta un’idea. Perché non possiamo festeggiare in modo diverso? In India un gran numero di persone è nato nel segmento più basso del sistema delle caste e per questo viene considerato “intoccabile”. Queste persone non possono andare non solo nei templi, ma neppure nelle case e nei negozi di coloro che appartengono a una casta più alta.
Così sono rimasto molto colpito nel sentire i leader della mia città parlare in maniera molto forte contro il sistema delle caste e l’“intoccabilità”, facendo riferimento agli ideali gandhiani. Ispirato da questo, ho pensato che si doveva dare un esempio concreto e ho invitato queste leader a mangiare cibo cucinato e servito dalla comunità degli “intoccabili”. Sono andato da alcune di queste persone di bassa casta per cercare di convincerle, ma era una cosa impensabile per loro. Mi hanno detto: «Non è possibile, non è mai successo!». Ho risposto: «Guarda-te questi leader, sono delle persone importanti e sono contro l’“intoccabilità”. Verranno. E se non viene nessuno, possiamo comunque dare un esempio». Pensavano che fossi troppo ingenuo. Ma, alla fine, si sono convinte.
Io e miei amici abbiamo preso le nostre biciclette e abbiamo invitato i leader politici. Ero così entusiasta, addirittura galvanizzato nel vedere che tutti accettavano di venire. Ho pensato: «Ottima idea! Possiamo dare un esempio. Possiamo portare un cambiamento nella società».
Venne il giorno prestabilito. Tutti gli “intoccabili”, tre donne e due uomini, avevano accettato di partecipare. Hanno indossato i loro abiti migliori e hanno portato nuovi utensili. Avevano fatto una grande quantità di bagni perché era impensabile per loro quello che stavano per fare. Il momento del cambiamento era venuto. Si sono riuniti e hanno cucinato. Erano le 19. Dopo le 20, abbiamo preso di nuovo le nostre biciclette e siamo andati nelle case di questi leader, per ricordare loro l’appuntamento. La moglie di uno mi ha detto: «Siamo spiacenti, ha un forte mal di testa, forse non potrà venire». Sono andato da un altro e sua moglie mi ha detto: «Si unirà a voi sicuramente». Così ho pensato che la cena si sarebbe comunque svolta, anche se in tono minore.
Sono tornato al luogo dell’incontro, nel parco Mahatma Gandhi. Erano le 22 e nessuno dei leader si era presentato. Questo mi ha fatto di nuovo molto arrabbiare. Stavo in piedi, appoggiato alla statua del Mahatma. Ero abbattuto ed esausto. Ho cercato di controllare le mie emozioni. Ma quando ho preso il primo boccone, sono scoppiato in lacrime. Improvvisamente ho sentito una mano sulla mia spalla. Era il tocco materno e consolante di una donna “intoccabile”. Mi ha detto: «Kailash, perché piangi? Hai fatto la tua parte. Hai mangiato il cibo cucinato da noi, cosa che non è mai accaduta a nostra memoria». E ha aggiunto: «Oggi tu hai vinto». E aveva ragione.
Sono tronato a casa, poco dopo la mezzanotte, scioccato nel vedere che diverse persone anziane di alta casta erano sedute nel mio cortile. Ho visto mia madre e alcune donne anziane piangere e supplicare queste persone perché avevano minacciato di sbattere fuori casta tutta la mia famiglia. Questa è la più grande punizione sociale che si possa pensare. Hanno quindi deciso di punire solo me con un atto di purificazione, ma mi sono rifiutato. Tuttavia, mi hanno punito ugualmente, impedendomi di entrare nella mia cucina e nella sala da pranzo e i miei utensili sono stati separati dagli altri. Quella notte ero molto arrabbiato. Volevano fare di me un senza casta. Ma io ho deciso che l’intero sistema doveva diventare senza caste. Questo sarebbe stato possibile, cominciando con il cambiare il cognome, perché in India, la maggior parte dei nomi di famiglia sono nomi di casta. Così ho deciso di abbandonare il mio e mi sono chiamato Satyarthi, che significa, “cercatore di verità”. Quello è stato l’inizio della mia rabbia trasformativa.
Prima di diventare un attivista per i diritti dei bambini, ero un ingegnere elettrico. Ho studiato come l’energia del fuoco, del carbone, del nucleare, dell’acqua dei fiumi e dei forti venti poteva essere convertita in luce e in vita per milioni di persone. Ho imparato anche come le forme più incontrollabili di energia potevano essere sfruttate per il bene e per rendere la società migliore.
Lo stesso è successo quando sono diventato un attivista per i diritti dei bambini. Anche se mi hanno sbattuto in prigione. In quell’occasione ero molto felice perché avevo liberato una decina di bambini dalla schiavitù e li avevo consegnati ai loro genitori. Non posso spiegare la mia gioia quando riesco a liberare un bambino. Ero veramente felice. Ma mentre aspettavo il treno per tornare nella mia città, Delhi, ho visto che arrivavano decine di bambini trafficati. Li ho fermati e mi sono lamentato con la polizia. Ma i poliziotti, invece di aiutarmi, mi hanno sbattuto in una minuscola gabbia, come un animale. Quella fu la notte di rabbia in cui ho avuto una delle mie idee più grandi e brillanti. Ho pensato che se continuavo a liberare 10 bambini, ma altri 50 finivano schiavi, non sarebbe servito a molto.
Credevo nel potere dei consumatori. Così per la prima volta è stata lanciata una campagna per educarli e sensibilizzarli e per creare una richiesta di tappeti “liberi” dal lavoro schiavo dei bambini. Abbiamo avuto un grande successo sia in Europa che in America. E ciò ha provocato una drastica riduzione del lavoro minorile nei Paesi dell’Asia meridionale dell’80 per cento. Non solo, questo primo esempio di “campagna del consumatore” si è diffuso in altri Paesi e ad altre industrie, come quella del cioccolato, dell’abbigliamento e delle scarpe ed è andato oltre.
La rabbia dei miei 11 anni, quando mi sono reso conto di quanto fosse importante l’educazione per ogni bambino, si è trasformata nell’idea di raccogliere libri usati e aiutare i bambini più poveri. Ho creato così una banca del libro. Ma non mi sono fermato. In seguito, ho co-fondato la più grande campagna al mondo promossa dalla società civile per l’educazione, ovvero la Global Campaign for Education. Essa ha contribuito a cambiare la mentalità nei confronti dell’istruzione, da una modalità caritativa a una modalità fondata sui diritti umani; inoltre, ha concretamente aiutato, negli ultimi 15 anni, a ridurre di metà il numero di bambini che non frequentavano la scuola.
La mia rabbia dei 27 anni, quando ho liberato una ragazza che stava per essere venduta a un bordello, mi ha dato l’idea di creare una nuova strategia per salvare e liberare i bambini dalla schiavitù. Non si tratta di uno, dieci o venti; io e miei colleghi siamo stati in grado di liberare 83 mila bambini-schiavi e di consegnarli alle loro famiglie. Sapevo però che c’era bisogno di politiche globali. Quindi, abbiamo organizzato marce in tutto il mondo contro il lavoro minorile e questo ha portato alla definizione di una nuova convenzione internazionale.
Tutto questo ha inoltre contribuito a ridurre di un terzo il numero di bambini lavoratori a livello globale negli ultimi 15 anni. In tutti questi casi, la mia rabbia si è trasformata in idea e azione.
Rabbia è potere ed energia. Ma come può essere tradotta e sfruttata per creare un mondo più bello e migliore, più giusto ed equo? Se rimaniamo rinchiusi negli stretti confini del nostro egoismo, allora la rabbia si trasforma in odio, violenza, vendetta, distruzione. Ma se siamo capaci di rompere questi cerchi, la rabbia può trasformarsi in un grande potere. Possiamo infrangere questi confini, utilizzando la nostra compassione e sintonizzandoci, grazie a essa, con il mondo per renderlo migliore. Trasformando appunto la rabbia in idea e azione.
Ogni volta che libero un bambino, un bambino che ha perso ogni speranza di tornare da sua madre, e vedo sul suo volto il primo sorriso della libertà; ogni volta che una madre che ha perso ogni speranza di rivedere il figlio o la figlia e lo abbraccia di nuovo nel suo grembo, e vedo la prima lacrima di gioia scendere giù sulla sua guancia… allora in tutto ciò intuisco uno scorcio di Dio. E questa è la mia più grande ispirazione. Sono stato così fortunato che non solo una volta, ma migliaia di volte ho visto testimoniato il mio Dio nel volto di quei bambini e anche loro sono la mia più grande ispirazione.