Non solo Myanmar: la Thailandia da mesi in piazza contro i generali

Non solo Myanmar: la Thailandia da mesi in piazza contro i generali

Hanno ripreso vigore le manifestazioni che chiedono la riscrittura della Costituzione imposta dopo il golpe del 2014, l’uscita di scena dei militari dal governo e una revisione dell’istituzione monarchica che troppo spesso si è appoggiata sull’esercito. E quanto sta accadendo a Yangon incoraggia ulteriormente le proteste

 

Non cede e sta riacquistando visibilità in Thailandia la protesta di vari gruppi della società civile, con alla testa anzitutto gli studenti universitari, che chiede la riscrittura della Costituzione in vigore dopo il colpo di stato del 2014, l’uscita di scena dei militari dalla gestione del Paese, una revisione dell’istituzione monarchica che troppo spesso ai militari si è appoggiata o ne ha subito i condizionamenti.

Anche in questo fine settimana l’opposizione ha fatto sentire la sua presenza in diverse località del Paese. Nella capitale Bangkok tre diversi gruppi per la democrazia hanno tenuto sabato cortei di protesta partendo da luoghi diversi per ricongiungersi presso il palazzo del governo e stringerlo pacificamente d’assedio anche nella notte. Per la prima volta, alle manifestazioni ha preso parte anche l’organizzazione ambientalista e per i diritti delle popolazioni rurali, People Go.

Gruppi di diversa provenienza e ideologia, uniti dalla richiesta di immediate dimissioni del primo ministro, Prayut Chan-ocha, ex generale alla guida della repressione sanguinosa del 2010 contro le Camicie Rosse nel cuore di Bangkok e quattro anni dopo del golpe con cui, per l’ennesima volta in circa 80 anni e per la seconda dal 2006, le forze armate si sono riappropriate della gestione del Paese con la forza e con la repressione, sebbene selettiva e non sanguinosa come in passato, utilizzando come principale base per le loro pretese proprio la Costituzione da essi dettata. Insieme, però, la Legge sulla lesa maestà, ovvero l’articolo 112 del Codice penale che prevede pene molto severe contro chi attenti in qualunque modo alla dignità e ruolo della monarchia. Da strumento di tutela del sovrano e della sua famiglia si è trasformata in strumento per consentire il giudizio e la detenzione di oppositori del regime militare e in generale dei fautori di maggiori libertà e democrazia.

Come ha segnalato uno di leader della manifestazione di sabato al Monumento alla Democrazia, nel sistema attuale «la libertà di espressione e di assemblea pacifica sono cancellate dall’abuso di potere. La popolazione è soffocata e incatenata, soprattutto attraverso l’utilizzo dell’articolo 112, che serve anche come scudo per giustificare il potere. I sospetti arrestati di averlo violato, 150 finora, sono privati dei loro diritti di libertà su cauzione e imprigionati prima di essere condannati. Questo è contrario ai diritti umani e al principio costituzionale di presunzione di innocenza», a favore «dei grandi gruppi economici».

Proprio la convergenza degli interessi dei generali, dei gruppi monopolistici e della monarchia guidata dal 2016 da re Maha Vajralongkorn, Rama X, succeduto al padre che aveva regnato per un settantennio, è centrale nell’impegno di tanti gruppi di diversa origine ideologica, territoriale e sociale: studenti, classe media urbana, agricoltori con o senza terra, minoranze che dalla scorsa estate tengono impegnato nelle piazze e nei tribunali un regime che – soprattutto per evitare pressioni e sanzioni dall’estero – si è dato una veste democratica attraverso la costituzione di partiti, parlamento e governo di militari e ex militari e loro associati al potere.

Quello delle legittimazione e del ruolo di governo delle forze armate è ora un nodo che non potrà più essere sciolto con la semplice repressione. Al di là del confine occidentale, il movimento popolare che da settimane si oppone con un elevato numero di vittime al ritorno al potere di militari è insieme di incoraggiamento e di esempio. Allo stesso modo in Myanmar, il contrasto metro per metro in tutte le sedi possibili del controllo dei generali in corso in Thailandia segnala che il caso birmano non sia unico ma che la dittatura può essere contrastata. In entrambi i casi la comprensione e l’appoggio internazionale sono di grande importanza anche se non determinanti finora per la convergenza in entrambi i Paesi degli interessi di potere dei generali e di quelli economici e strategici della Cina, ancora più saldi e determinanti in Myanmar rispetto al vicino.