Una riflessione sull’attentato di domenica 3 dicembre di padre Sebastiano D’Ambra, missionario Pime nelle Filippine dal 1977 e fondatore del Movimento Silsilah. «Ancora oggi la popolazione locale continua a subire le conseguenze di quanto avvenuto sei anni fa con l’assedio della città portato dal gruppo Maute», associato allo Stato islamico. Difficile dire ora quali saranno «le eventuali conseguenze, anche sul processo di pace».
Zamboanga City (AsiaNews) – La bomba di ieri alla messa a Marawi, nelle Filippine, con i suoi quattro morti e le decine di feriti rivendicata dall’Isis, è legata agli “scontri recenti” fra militari e gruppi legati a Daesh o alleati. Con questa azione «indiscriminata, si sarebbero vendicati, ottenendo anche la visibilità che cercavano». È quanto sottolinea padre Sebastiano D’Ambra, 81enne sacerdote del Pime dal 1977 nelle Filippine, attivo nel dialogo interreligioso e profondo conoscitore dei gruppi (anche armati) musulmani attivi nel sud dell’arcipelago.
Egli ha trascorso gran parte della sua vita missionaria a Mindanao prestando particolare attenzione al dialogo coi musulmani, ricoprendo il ruolo di negoziatore per la pace e aiutando il Moro National Liberation Front (Mnlf). Ha studiato l’islam e l’arabo al Pisai (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica) a Roma, conseguito un dottorato in Educazione ed è autore di molti libri. Fra gli incarichi ricoperti: direttore del nuovo Emmaus College of Theology Major in Interreligious Dialogue a Zamboanga, coordinatore della Settimana mondiale dell’armonia interreligiosa nelle Filippine e segretario esecutivo della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale filippine (Cbcp).
E proprio in tema di dialogo interreligioso, padre D’Ambra – storico collaboratore di AsiaNews – ha fondato 39 anni fa a Zamboanga City il movimento Silsilah (in arabo: catena, legame – ndr). Il gruppo è una nota presenza di sensibilizzazione culturale, formazione e condivisione, il cui obiettivo è far incontrare cristiani e musulmani. Dal 1984 il Silsilah Forum cerca di allentare tensioni e placare i focolai di violenza religiosa. Un compito che è radicato nel nome stesso del movimento, derivato dalla mistica islamica sufi, che significa “catena” o “legame” che unisce l’uomo a Dio.
Ecco, di seguito, la riflessione del missionario Pime:
Quanto accaduto ieri a Marawi, la principale città musulmana dell’isola di Mindanao non è purtroppo dissimile da quanto successo sei anni fa con l’assedio della città portato dal gruppo Maute, associato all’Isis qui a Mindanao. Un tentativo di catalizzare quindi l’attenzione internazionale sulle loro rivendicazioni, finito con la devastazione della città e centinaia di vittime. Anche oggi la popolazione di Marawi – in maggioranza musulmana ma dove la convivenza con i cristiani è parte della quotidianità – continua a soffrirne le conseguenze.
In questa città proprio l’università di Stato, la Mindanao State University, colpita ieri dall’attentato, dove studiano giovani musulmani e cristiani provenienti da diverse province dell’isola è un esempio di convivenza.
Quello che mi è stato detto da più parti, che ho letto e che mi è stato anche riferito durante un colloquio con il vescovo di Marawi, mons. Edwin de la Peña, è che l’azione sarebbe dovuta all’Isis. Le ragioni di questo attentato sono probabilmente negli scontri recenti tra militari e gruppi che fanno riferimento all’autoproclamato Stato islamico o che gli sono alleati e che, con questa azione indiscriminata, si sarebbero vendicati, ottenendo anche la visibilità che cercavano.
Difficile dire ora quali saranno le eventuali conseguenze, anche sul processo di pace e sulla convivenza. Direi che oggi la situazione è tesa, ma fa parte un po’ della nostra esperienza di Mindanao.
Come movimento Silsilah a cui abbiamo dato vita 39 anni fa, abbiamo vissuto nel nostro impegno di dialogo varie fasi di speranza, paura, tensione. Nel complesso posso dire che c’è stato un progresso nel dialogo, anche se con questi gruppi che continuano a vivere una propria realtà e a volte giustificano quello che fanno con il loro modo di pensare è difficile avere un rapporto diretto.
Il fattore ideologico che fornisce la base o la giustificazione alle azioni di alcuni di loro è difficile da affrontare. A questo si aggiunge che nell’area di Marawi è piuttosto diffuso il conflitto tra famiglie, tra clan, ciascuno che cerca di rafforzarsi e di ottenere dei vantaggi sugli altri. Finisce così che interessi locali si associno a quelli di gruppi esterni alimentando una situazione di tensione in cui è difficile intervenire. Tuttavia, noi come Silsilah continueremo senza preclusioni il nostro percorso di dialogo.