Tre giorni di protesta davanti la prigione di Shek Pik. Padre Franco Mella, missionario del Pime e noto difensore dei diritti umani a Hong Kong, chiede la liberazione degli attivisti incarcerati dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale
Non si è lasciato scoraggiare dal caldo torrido di questi giorni a Hong Kong. Del resto, padre Franco Mella non si è mai fatto scoraggiare da nulla. Noto difensore dei dititti umani, della giustizia e delle libertà, ha protestato tre giorni facendo lo sciopero della fame, per chiedere il rilascio degli attivisti e degli esponenti democratici detenuti in base alla draconiana legge sulla sicurezza nazionale.
Guarda qui la sua testimonianza raccolta dal corrispondente Rai a Pechino, Marco Clementi
Il missionario 74enne non è nuovo a proteste di questo tipo. Lo scorso gennaio, insieme a personalità cattoliche e protestanti, padre Mella ha invocato l’amnistia per il magnate cattolico dell’editoria Jimmy Lai e per altre figure democratiche. Sono tutti detenuti o in custodia cautelare con l’accusa di aver violato il provvedimento sulla sicurezza, che prevede anche condanne all’ergastolo. Alcuni di loro attendono il processo da più di un anno.
Dal 1999 p. Mella manifesta ogni anno assieme ad altri per il diritto al ricongiungimento familiare di figli e mogli cinesi, legati a persone di Hong Kong. Come riporta la Reuters, nel 2019 egli ha partecipato alle manifestazioni pro-democrazia che hanno scatenato il giro di vite di Pechino.
Sottolineando la grande calura, padre Mella parla della sofferenza di chi si trova in carcere e lancia loro un messaggio: «Siamo con voi, non perdete la speranza. Continueremo a combattere per la libertà di tutti». Il missionario ha aggiunto che gli abitanti della città avrebbero più fiducia nel futuro se le autorità liberassero le personalità filo-democratiche imprigionate.
Imposta dal governo centrale cinese due anni fa, la legge sulla sicurezza nazionale ha portato all’arresto di quasi 200 persone; quelle incriminate sono 113 – molte di loro hanno però più di una accusa. Oltre agli arresti, con l’introduzione del provvedimento diversi partiti e gruppi pro-democrazia si sono sciolti, molti media indipendenti hanno chiuso i battenti o si sono spostati all’estero, mentre migliaia di persone hanno abbandonato la città.
A maggio la polizia per la sicurezza nazionale aveva arrestato anche il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito della città e noto sostenitore del movimento democratico. L’accusa iniziale era grave: “collusione” con forze straniere. Un tribunale ha poi rinviato a giudizio il card. Zen e cinque noti esponenti del fronte democratico per l’imputazione meno grave di non aver registrato correttamente un fondo umanitario di cui erano amministratori fiduciari. Il processo nei suoi confronti inizierà il 19 settembre.