Trasferito in ospedale a Roma il missionario ferito in Bangladesh, che ora ha bisogno di calma e terapie adeguate. Intanto prende corpo la pista di un legame tra l’attentato e gruppi fondamentalisti islamici locali che avrebbero trovato sotto la bandiera dell’Isis nuovo vigore. Già nel 2005 in quella zona ci fu una serie di bombe contro obiettivi quali luoghi sacri, eventi musicali e cinema
Da poche ore padre Piero Parolari, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, è rientrato in Italia dal Bangladesh dove, lo scorso 18 novembre, è stato vittima di un attentato da parte di estremisti islamici a Dinajpur, nel Nord del Paese. È fuori pericolo, ma le cure saranno lunghe; ora ha bisogno soprattutto di calma e delle adeguate terapie. Padre Piero è stato accompagnato nel suo viaggio da due medici, Giuliana Rapacioli (sorella di padre Francesco, missionario del Pime, in Bangladesh per anni e ora rettore del Seminario teologico internazionale del Pime a Monza), ed Emanuele Rossetti, anestesista di Roma. Il rientro è avvenuto grazie al sostegno attivo di Alitalia, che ha garantito il trasporto in condizioni di assistenza particolare. Ora padre Piero è ricoverato in via del tutto eccezionale presso il Bambin Gesù, data la lunga storia di amicizia e cooperazione fra l’ospedale pediatrico della Santa Sede e il Pime.
Lecchese, 64 anni, in Bangladesh dal 1985, padre Parolari, medico e missionario, è viceparroco di Suihari e lavora presso l’ospedale di St. Vincent, nei pressi di Dinajpur. L’agguato ai suoi danni è stato compiuto da tre uomini armati in motocicletta, che lo hanno attaccato mentre si recava in bicicletta in ospedale.
Le autorità locali confermano la matrice islamica dell’attentato, che si inserisce in un clima di crescente tensione nei confronti della comunità cristiana del Bangladesh. Non si sa se dare credito alle minacce e alle rivendicazioni attribuite all’ISIS. Spiegano fonti locali: «L’alternativa che si tratti dell’opposizione che vuole disturbare il governo e destabilizzarlo appare sempre più improbabile, un debole tentativo di non prendere atto della sgradevole realtà».
All’indomani dell’attentato quella era sembrata l’ipotesi più probabile. Nei giorni scorsi, infatti, è stata eseguita a Dhaka la pena capitale per Salauddin Quader Chowdhury – ex ministro e membro del direttivo del partito nazionalista Bnp – e per Ali Ahsan Mohammad Mujahid – segretario generale del partito islamista Jamaat-e-Islami. A più di un osservatore era parso che proprio lo scontro politico durissimo in atto nel Paese – intorno a una condanna legata a crimini commessi durante la guerra di indipendenza del 1971 – sia stato la miccia dell’odio che i gruppi fondamentalisti islamici stanno cavalcando, colpendo in maniera particolari i cooperanti e i missionari.
In realtà – riprende la nostra fonte – «siamo più propensi a credere che si tratti di un ritorno di alcuni gruppi fondamentalisti che erano stati molto attivi specie nella zona di Rajshahi poco più di 10 anni fa, con il famoso leader “Bangla Bhai”».
In quel periodo era al governo l’ex premier, ora all’opposizione, Khaleda Zia e pare avesse dato carta bianca ai gruppi estremisti per “ripulire” la zona dai resti della guerriglia di tipo marxista e maoista che era stata attiva a lungo fra Bangladesh e India. «In quel periodo – continua la nostra fonte – Khaleda disse più volte che Bangla Bhai non esisteva, era un’invenzione dei giornalisti. Poi Bangla Bhai passò il segno con una serie di attentati che fecero scalpore, lui e altri capi vennero arrestati, condannati a morte e uccisi in breve tempo, i loro gruppi posti fuori legge. Ogni tanto se ne risentivano i nomi perché evidentemente erano stati schiacciati, ma non totalmente».
Particolare inquietante: sia il Jmb che il Jmjb – due di questi gruppi estremisti – erano stati accusati di una serie di bombe, esplose nel 2005, contro obiettivi quali luoghi sacri, eventi musicali e cinema. Un’analogia sinistra, a leggerla oggi, con quanto accaduto di recente a Parigi. «Ora – sottolineano le nostre fonti – questi gruppi potrebbero aver preso forza ed essersi posti nella galassia che circonda l’Isis. Avrebbero trovato, insomma, un contesto internazionale che li appoggia molto meglio di prima e che suggerisce loro strategie collaudate».
Aggiunge un missionario attivo in Bangladesh: «C’è da tener conto, infine, di un altro fattore. Tanti anni di lavoro nascosto da parte di innumerevoli madrasse (le scuole coraniche) del tutto incontrollate, ad un certo punto deve per forza mostrare i frutti avvelenati che ha preparato con cura».
Il Superiore regionale del Pime, padre Michele Brambilla, conferma ad AsiaNews che «la situazione è ancora molto tesa. Un leader politico musulmano è stato minacciato di morte dagli estremisti, le intimidazioni non colpiscono soltanto i cristiani ma tutti coloro che lavorano per la pace. È un problema politico-religioso, non di matrice puramente confessionale».