Angelina Jolie ha tradotto in un film “First They Killed My Father“, il libro in cui la scrittrice cambogiana Luong Ung ha raccontato il genocidio perpetrato dai khmer rossi tra il 1975 e il 1979. E in un’intervista alla Bbc ha raccontato il suo rapporto con la Cambogia
Più di una ragione lega Angelina Jolie alla Cambogia. In una intervista apparsa ieri sul sito della BBC, l’attrice ha dichiarato che grazie alla Cambogia, all’incontro con la sua gente e la sua storia, si è “risvegliata” al mondo. Prima di questo incontro, che risale alle riprese del film Tomb Raider del 2001, l’attrice ha infatti ammesso quanto poco conoscesse il mondo.
Una seconda e più importante ragione, successiva alle riprese di Tomb Raider e che suggella questo sodalizio tra l’attrice americana e la Cambogia, è il fatto che Maddox, suo figlio adottivo, ha origini cambogiane. Infine, un terzo è più recente motivo, del quale ci occupiamo nelle parole che seguono, è l’aver diretto la versione cinematografica del libro “First They Killed My Father“, scritto dalla cambogiana Luong Ung.
Il film, ma prima ancora il libro, racconta il genocidio perpetrato dai Khmer rossi tra il 1975 e il 1979, attraverso gli occhi della piccola Luong che allora aveva 5 anni. La famiglia di Luong, composta di 9 persone, papà, mamma, tre figli e quattro figlie, apparteneva alla classe medio alta della borghesia di Phnom Penh. Nel libro si racconta quanto è ormai tristemente noto a tutti e cioè che con l’ingresso dei Khmer rossi in Phnom Penh, il 17 aprile 1975, tutta la popolazione della città fu evacuata e delocalizzata altrove in luoghi che nessuno poteva conoscere in anticipo. Erano tutti costretti a camminare, camminare in un crescendo di fatica e paura per l’incertezza del futuro. Il fatto che la mamma di Luong parlasse il cambogiano con accento cinese, che la loro pelle fosse chiara, e che avessero sempre vissuto in città e quindi non sapessero fare i contadini, costituivano motivi sufficienti per perdere la vita. Il regime dei Khmer rossi voleva azzerare tutti i quadri e chiunque avesse ricevuto un’educazione, tanto più scolastica. Chiunque sapesse scrivere o conoscesse la storia, infatti, poteva costituire una minaccia all’ideologia e doveva essere eliminato. Solo allora il regime, l’Angakar come veniva chiamato, avrebbe potuto agire indisturbato e iniziare una nuova storia. La nota espressione “Cambogia, anno zero” indicava la volontà di azzerare il passato, isolare il Paese e imporre un nuovo corso alla storia cambogiana. Fu per questo necessario mettere a morte centinaia di migliaia di persone al punto che non c’è famiglia cambogiana che non abbia perso qualcuno dei suoi membri. Il racconto e l’elaborazione di queste pesanti perdite umane è tutt’ora in corso e Angelina Jolie – come ha dichiarato lei stessa – si è impegnata in un simile lavoro cinematografico anche per aiutare i cambogiani a parlare di sè e liberarsi dai fantasmi del passato, sulla scia di Luong Ung. Basterebbe leggere solo alcune pagine del libro per rendersi conto del dramma vissuto in quegli anni.
“Le uccisioni sono iniziate,” racconta papà ai miei fratelli maggiori mentre scendiamo dalla montagna per approssimarci al luogo dell’incontro. “I Khmer rossi stanno uccidendo tutti coloro considerati potenziale minaccia all’Angkar. Questo nuovo paese non ha legge ne ordine. La gente di città è uccisa senza motivo. Chiunque è visto come minaccia – funzionari statali, monaci, dottori, infermiere, artisti, maestri e studenti – persino chi porta un paio di occhiali viene eliminato per il fatto che gli occhiali sono un segno di intelligenza. Così chiunque sembra avere il potere di guidare una potenziale ribellione, viene ucciso”. “Dobbiamo essere molto attenti – conclude il papà di Luong – ma se ci muoviamo in continuazione da un villaggio all’altro, saremo salvi”.
In realtà questo non fu sufficiente. La prima a morire della famiglia è la quinta figlia, ad un anno dalla partenza da Phnom Penh. Appena dopo tocca al papà di Luong. Chiamato a rapporto dai Khmer rossi, non verrà mai più rivisto. Poi è la volta di due suoi fratelli maggiori. Scompaiono anch’essi lasciando la madre con ancora quattro figli, tra i quali Luong. Nel 1977, mentre Luong non ha ancora otto anni, la madre si rende conto che l’unica via per salvare i suoi bambini sia quella di “abbandonarli” per fare in modo che fossero considerati orfani. Esistevano infatti campi speciali per questo tipo di bambini. L’unica sciagura imprevista era che in questi campi i Khmer rossi proteggevano i bambini con lo scopo di rieducarli come combattenti in cambio di cibo. Fu così che Luong imparò ad uccidere. Riuscì con la forza ad evitare di essere violentata e mentre si trovava ancora nel campo venne a sapere che anche la mamma e la sorellina più piccola erano nel frattempo state uccise.
Sul finire del 1978 il regime dei Khmer rossi capitolò sotto i colpi dell’armata vietnamita. Luong viene portata in un campo profughi al confine con la Thailandia da dove, come migliaia di cambogiani, nel 1979 viene fatta partire alla volta degli Stati Uniti insieme al fratello. Rimarrà in Cambogia ancora una delle sorelle, ma a Luong saranno necessari 15 anni prima di poterla riabbracciare. Il senso di colpa e la paura per la sorte della sorella rimasta in Cambogia, insieme al dolore per chi era scomparso, spinsero Luong a scrivere. Per fare in modo che i suoi cari non morissero una seconda volta, dimenticati e persi nell’oblio.
La versione cinematografica di questa storia, il quarto film della Jolie come regista, potrebbe quindi servire per custodire la memoria e il senso di tante vite perse. L’originalità della pellicola sta nell’uso massiccio della lingua khmer. Dettaglio non trascurabile che faciliterà la comprensione al popolo khmer protagonista della storia.