Minacciate punizioni contro chi diffonde «propaganda negativa» contro lo Stato. La preoccupazione della Conferenza episcopale: «Date le restrizioni attuali, le minoranze religiose possono essere facilmente obiettivo di malintenzionati»
Il Pakistan, che ha visto negli ultimi anni ridursi notevolmente la violenza armata di matrice taleban, costringe sulla difensiva attivisti e minoranze su Internet e nelle sue varie diramazioni. Incentiva anche i timori di repressione della Grande Rete informatica, la cui frequentazione è già costata il sequestro, l’aggressione o l’arresto di blogger laicisti o critici del governo e del ruolo delle forze armate. Gli internauti registrati ufficialmente si avvicinano al 20 per cento dei 195 milioni di Pakistani, con una forte accelerazione, ma si moltiplicano anche le iniziative di regolamentazione e di censura. Due in particolare, le più recenti, hanno sollevato perplessità e preoccupazioni tra internauti, attivisti e minoranze.
La prima, il 13 maggio, è stata un comunicato del ministro federale per l’Informazione, le Telecomunicazioni e il Patrimonio culturale, Marryum Aurangzeb, che ha minacciato di punizioni secondo quanto previsto dalla Legge contro la criminalità informatica chiunque usi “propaganda negativa” contro lo Stato. “Coloro che usano i social media per una propaganda offensiva e negativa verso le istituzioni dello Stato sono avvisati a desistere – ha indicato il ministro -. Ogni account sospetto usato per fini propagandistici è sotto stretta sorveglianza e contro di esso saranno presi provvedimenti”.
La seconda iniziativa, un’ordinanza con cui il ministro dell’Interno Chaudhry Nisar Ali Khan ha chiesto il 14 maggio all’Agenzia investigativa federale (Fia) di agire contro chi utilizzi i social media per criticare le forze armate, ha segnato un ulteriore giro di vite sulla libertà di espressione online. “Secondo la Costituzione, non sono consentite critiche alle forze di sicurezza o a questioni riguardanti la sicurezza nazionale. Prendere di mira istituzioni disciplinate e riverite nel Paese per scopi particolari è sicuramente condannabile”, ha indicato a sua volta Khan.
Per i dati ottenuti dall’agenzia UcaNews sarebbero 200 i giornalisti, blogger e attivisti dell’opposizione identificati dal Dipartimento Anti-terrorismo della Fia. Una situazione che non è solo spiacevole e in contrasto con le opportunità di confronto, informazione e condivisione fornite da social network, siti web e blog al grande Paese asiatico, ma che solleva timori nelle minoranze di una svolta repressiva e di una minore tutela contro le aggressioni degli estremisti che dalle piazze si sono spesso trasferite in modo meno cruento ma altrettanto polemico e a volte violento, sulla Rete globale.
“Date le restrizioni attuali, le minoranze religiose possono essere facilmente obiettivo di malintenzionati. Individui innocenti possono essere coinvolti in casi di blasfemia verso la fede islamica soltanto condividendo un messaggio su un social media”, ha segnalato sulla pagina Facebook in lingua urdu della Conferenza episcopale cattolica del Pakistan il curatore padre Emanuel Neno.
A concretizzare ulteriormente uno scenario repressivo, è la stessa Commissione per i diritti umani del Pakistan, una iniziativa indipendente che si distingue per l’impegno e il coraggio: “Notiamo con crescente preoccupazione il clima che va diffondendosi rispetto la libertà di espressione. Secondo le informazioni fornite dal governo, da quando l’esecutivo attuale è entrato in carica quattro anni fa, la sezione attiva nella repressione della criminalità informatica all’interno dell’Agenzia investigativa federale ha indagato 900 casi di abusi commessi su Internet”.