Cercando di regolare i propri conti pubblici, il Pakistan sta considerando una riduzione del bilancio militare. Le tensioni a livello internazionale però restano, e l’alleanza economica con la Cina al momento sembra essere l’unica soluzione possibile.
La costante crisi finanziaria del paese, ha spinto il Pakistan a considerare anche la riduzione del bilancio militare. Un misura considerata provvisoria, forse solo per il prossimo anno fiscale che partirà a luglio, ma che ha un significato non solo in termini pratici ma anche di maggiore disponibilità del potente apparato militare verso il governo a cui ha promesso aperto sostegno per ridurre le tensioni interne e internazionali.
Una conseguenza anche della promessa di ridurre il deficit persistente e in crescita della finanza pubblica fatta al Fondo monetario internazionale, che lo scorso maggio ha concesso una nuova linea di credito di sei miliardi di dollari per alleviare una situazione che lo stesso primo ministro Imran Khan ha definito “critica”.
Nel tentativo di mettere sotto controllo la spesa pubblica, già ora nella stragrande maggioranza del bilancio statale (meno della metà del totale a gestione federale, con il resto affidata alla gestione delle singole province) destinata al mantenimento e sviluppo delle forze armate e al pagamento degli interessi sul debito, per la prima volta non solo si cercherà di garantire l’accordo con il Fondo per un taglio di cinque miliardi di dollari, ma di farlo mettendo mano alla spesa militare.
Un tema delicato, sebbene da tempo dibattuto, tenendo presente che il paese è stato governato dai generali per metà della sua storia indipendente dal 1947 e che le necessità strategiche – a partire dal costante confronto, anche sul piano del nucleare con la vicina e rivale India – hanno finora giustificato un bilancio militare che pesa significativamente su un bilancio che nell’anno fiscale che si chiude ha superato di poco i 42 miliardi di dollari.
Khan, annunciando “l’iniziativa senza precedenti e volontaria di tagli consistenti nelle spese della Difesa” di cui ha dato credito alle forze armate, ha anche specificato che i risparmi andranno nello sviluppo delle aree tribali a confine con l’Afghanistan, impoverita da un decennio di confronto armato con estremisti religiosi e terroristi, e della provincia occidentale del Baluchistan, dove violenza endemica e interessi contrapposti, anche internazionali, alimentano insicurezza e violenze.
Sicuramente, l’impegno non sarà facile da mantenere, considerato che il governo precedente aveva accresciuto del 20 per cento il bilancio militare stimato in almeno otto miliardi di dollari, che è stato però superato di slancio dopo che le tensioni con l’India si sono rinfocolate a febbraio.
Le voci critiche verso le spese militari si moltiplicano, in una nazione di 210 milioni che ha ancora il 40 per cento di popolazione analfabeta e gravi carenze sul piano della sanità e dei servizi sociali, ma le ragioni reali della sicurezza, anche interna, e del ruolo delle forze armate hanno finora impedito una netta inversione di rotta.
Sugli acquisti di tecnologia bellica – oltre che sulla costruzione di infrastrutture, strategiche ma per molti rischiose per le conseguenze economiche e politiche – si fonda l’alleanza con Pechino, anche in funzione anti-indiana. I crescenti rapporti con la Repubblica popolare cinese hanno portato recentemente alla firma di contratti per l’acquisto di otto sottomarini a propulsione non nucleare nel prossimo decennio e per la fabbricazione in loco di jet cinesi JF-17 Thunder, che saranno centrali nel futuro assetto dell’aviazione militare pachistana. Fonti diplomatiche sottolineano come l’alleato cinese potrà anche ridiscutere i termini degli accordi alla luce delle nuove necessità di Islamabad, ma il risultato sarà comunque di maggiori vincoli in un contesto di fragilità economica che al momento non pare avere alternative.