Nei giorni scorsi la Rio Tinto ha abbandonato la miniera di rame di Panguna, al centro negli anni Novanta della guerra civile che ha portato all’autonomia dell’isola di Bougainville. Ecco perché la vicenda sta diventando un “caso”.
Una multinazionale: la terza più importante del mondo nel settore minerario. Un’isola. Un governo locale. Gli abitanti e la società civile. Un ambiente devastato e i dilemmi sulle scelte per un futuro sostenibile. Sono gli ingredienti di un caso che in Papua Nuova Guinea sta destabilizzando i rapporti fra l’isola autonoma di Bougainville e il governo nazionale.
La miniera di rame di Panguna sull’isola di Bougainville è stata negli anni Novanta il fattore scatenante di una guerra civile in Papua Nuova Guinea che ha causato oltre 20 mila vittime. In questi giorni, dopo 27 anni durante i quali la miniera è rimasta chiusa, il colosso minerario Rio Tinto, terza multinazionale al mondo del settore, ha rinunciato ai suoi diritti sulla miniera e ha lasciato il Paese, aggirando la richiesta di ripulire l’area da parte del governo locale, che stima in un miliardo di dollari la bonifica della terra e delle falde acquifere tuttora inquinate, e che chiede anche all’Australia di contribuire a un fondo per l’isola.
Il caso della miniera di Panguna è strettamente legato allo stato di autonomia raggiunto dopo la guerra civile dall’isola di Bougainville. Le operazioni di estrazione sono cessate 27 anni fa quando la miniera fu sabotata con degli esplosivi da parte di persone del posto, sulla scia della rabbia per i danni ambientali, per i bassi salari dei minatori reclutati in loco e per l’assenza di ridistribuzione dei profitti generati dall’attività mineraria della Rio Tinto. L’attacco alla miniera ha innescato una guerra per l’indipendenza durata dieci anni, che ha portato all’autonomia dell’isola. Nel 2019 è previsto un referendum per l’indipendenza dalla Papua Nuova Guinea.
Per capire l’entità del caso, bisogna considerare che il rame estratto dalla miniera di Panguna, prima di cessare le attività, rappresentava il 45 per cento delle esportazioni della Papua, e generava un introito per il governo di più di un miliardo di dollari fra tasse e dividendi. Ma sull’isola di questo flusso di denaro è arrivato solo un piccolo rivolo, mentre milioni di tonnellate di acidi generati dall’attività mineraria hanno ucciso i fiumi Jaba e Kawerong, che rappresentavano una risorsa di acqua e di cibo per migliaia di persone. Ora tutta l’area attorno a questi fiumi sembra un paesaggio lunare, la mancanza di risorse e l’inquinamento hanno spinto la gente a lasciare le proprie case e i relitti dei camion della Rio Tinto sono ancora lì ad arrugginire sulle piste che circondano l’area.
Ora Bougainville si trova davanti a un bivio fra diverse possibilità e modelli di sviluppo. Il presidente dell’isola John Momis, oltra a chiedere un risarcimento alla Rio Tinto, spinge perché la miniera venga riaperta, visto che l’estrazione del rame rappresenta la principale e una delle poche fonti di entrata economica per il governo. La Rio Tinto ha ceduto le proprie azioni in parte al governo autonomo di Bougainville e in parte al governo nazionale della Papua Nuova Guinea. Momis ha chiesto al secondo di rinunciarvi a vantaggio del governo locale dell’isola, ma il primo ministro papuano Peter O’Neill ha risposto dicendo che le azioni cedute a Port Moresby saranno amministrate direttamente dai proprietari della terra di Bougainville su cui sorge la miniera. Una scelta che ha provocato la reazione durissima di Momis, che ha detto in modo piuttosto sinistro che “Il futuro della pace è ora sotto minaccia”.
Ma che riaprire la miniera sia un buon affare, visto anche il crollo dei prezzi delle materie prime, non è un’opinione condivisa da tutti sull’isola. Un gruppo di associazioni locali, sostenute da organizzazioni non governative fra cui Jubilee Australia, sostiene, studi alla mano, che rivitalizzare la miniera sia un pessimo affare e che proprio per questo Rio Tinto, dopo due anni di indagini, abbia deciso di abbandonare il campo. L’alternativa? Ripulire l’area e puntare in tutta l’isola sull’agricoltura e orticoltura su piccola scala e su altre voci di entrata. Una strada più lunga ma che, per alcuni, offre a Bougainville un futuro sostenibile.