Da 45 anni opera per la pace e l’incontro tra fedi a Mindanao, nelle Filippine. La testimonianza di padre Sebastiano D’Ambra che sarà al Congressino del Pime il 18 settembre e al Festival della Missione il primo ottobre a Milano
Se si volesse riassumere in una sola parola la lunga esperienza missionaria di padre Sebastiano D’Ambra, siciliano di Acitrezza (Ct) da 45 anni a Mindanao, grande isola nel Sud delle Filippine, questa sarebbe senz’altro “dialogo”. D’altra parte, quando nel 1977 arrivò nel remoto distretto di Siocon in un’area dalla storica presenza musulmana, già infuriava il conflitto tra governo e ribelli islamici: «Regnava un clima di violenza e odio e io mi sentii subito chiamato a provare a fare da ponte tra le comunità», racconta il sacerdote del Pime, classe 1942, che allora era un giovane animato dallo spirito di apertura del post Concilio Vaticano II.
«Già il mio primo impegno con le popolazioni tribali da sempre emarginate puntò sulla ricerca di unità tra i diversi gruppi», ricorda padre D’Ambra, che sabato 1° ottobre porterà la sua testimonianza al Festival della Missione a Milano (ore 20.30 alle Colonne di San Lorenzo). L’aggravarsi delle tensioni nelle zone dei ribelli del Moro National Liberation Front, poi, spinse il missionario a concentrarsi in modo specifico sul rapporto con i musulmani. «Mi stabilii tra di loro e cominciai a stringere molte relazioni di buon vicinato e poi di amicizia e fiducia, sia con la gente comune sia con alcuni leader, finché gli stessi guerriglieri vennero a chiedermi di coinvolgermi nei negoziati per la pace». Un impegno che il sacerdote portò avanti con successo, ma che «evidentemente disturbò qualcuno»: numerose minacce e un attentato, da cui per fortuna riuscì a uscire illeso, obbligarono padre Sebastiano a rientrare in Italia, dove si iscrisse al Pisai, Pontificio Istituto di Studi arabi e d’Islamistica. «Grazie allo studio e ad alcuni viaggi in Paesi islamici approfondii la conoscenza della religione musulmana, in particolare il sufismo, e quando fui chiamato a tornare nelle Filippine come superiore regionale decisi di porre la mia sede proprio a Mindanao, nell’importante città multiculturale e multireligiosa di Zamboanga».
Fu lì che, nel 1984, vide la luce la più nota creazione di padre D’Ambra: un movimento che chiamò Silsilah – in arabo “legame” – e che puntava a promuovere il dialogo «non solo come una strategia per implementare il processo di pace ma come uno stile di vita e di impegno quotidiano che coinvolge il rapporto con Dio, con noi stessi, con gli altri e con il Creato».
Si cominciò in modo spontaneo, con incontri settimanali di riflessione e preghiera in cui «insieme ad alcuni esponenti musulmani approfondivamo una spiritualità comune fondata sui principi delle rispettive fedi». Nacquero poi i corsi di formazione estivi, «rivolti dapprima al nostro gruppo e poi estesi a livello nazionale: oggi l’iniziativa è un punto di riferimento per istituzioni, università, seminari e ha preparato migliaia di leader impegnati nella Chiesa e nella politica, non solo nelle Filippine». Ad agosto si è tenuta la 36esima edizione del corso, dedicata al tema “Sinodalità cristiana e Ijma (consenso, ndr) islamico: somiglianze, differenze e sfide”.
Nei decenni le attività si sono moltiplicate e diversificate: al “Villaggio dell’armonia” di Zamboanga si sono aggiunti i Consigli interreligiosi dei leader che operano nelle diverse comunità, le piccole scuole in zone povere, principalmente musulmane, i corsi di formazione in carcere, la Settimana per l’armonia interreligiosa, il gruppo dei giovani impegnato in tutti i settori della società, dal campo professionale al fronte della solidarietà fino al mondo delle confraternite in cui spesso si sviluppano dinamiche devianti e violente. Fin dagli inizi, poi, lo spirito del Silsilah è sfociato in alcune iniziative specifiche in seno alla comunità cattolica: la più significativa è il movimento Emmaus – approvato dall’arcidiocesi di Zamboanga come “Associazione laicale nella Chiesa” – che riunisce laici, alcuni dei quali consacrati (e oggi anche sacerdoti e suore), animati dal carisma specifico del dialogo. In questo contesto è partita pure la missione “on the road” rivolta ai cristiani: «Non possiamo aspettare che la gente venga in chiesa, dobbiamo andarle incontro», afferma padre Sebastiano. Il cui impegno come segretario della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale filippina ha portato, l’anno scorso, anche alla creazione dell’Emmaus College of Theology: l’obiettivo è «formare una nuova generazione di leader, nella Chiesa e nella società, preparata al confronto tra fedi».
E se l’iniziativa Harmony chain riunisce in una “catena” di preghiera per la pace fedeli di religioni diverse in 35 nazioni, è chiaro che il carisma del Silsilah è stato in grado di varcare i confini delle Filippine. Proprio al movimento è ispirata la Comunità Dialogo nata nel 1992 a Catania, che da pochi giorni si avvale del contributo della giovane Elizabeth, laica consacrata del gruppo Emmaus appena arrivata da Mindanao per studiare teologia.
Fondamentale, nel rapporto con il mondo musulmano, è infatti saper andare oltre la teoria per conoscere le dinamiche e anche le criticità dei singoli contesti. «A Mindanao è cresciuto un islam radicale e molto diviso al suo interno – ammette padre D’Ambra – e il dialogo si fa più difficile, ma allo stesso tempo ancor più necessario. All’inizio del nostro impegno il vescovo Bienvenido S. Tudtud, della prelatura di Marawi, mi disse che sarebbe stato un cammino lungo un secolo: oggi credo che avesse ragione! Ma dobbiamo saper cogliere i segni dei tempi e non scoraggiarci». MM