Il missionario del Pime miracolosamente scampato un anno fa in Bangladesh alla morte in un agguato si racconta in una lunga intervista al settimanale «Credere»: «Oggi prego in modo diverso. Dire nel salmo “il Signore è buono … mi ha provato duramente ma non mi ha consegnato alla morte” ha assunto un senso nuovo e profondo»
A un anno dall’agguato di matrice islamista in cui rimase gravemente ferito padre Piero Parolari – missionario del Pime in Bangladesh oggi forzatamente a riposo in Italia – si racconta in un’intervista al settimanale Credere, nel numero in edicola questa settimana. Tanti i temi toccati: dal suo sentirsi miracolato, alla sofferenza per la separazione dai poveri di Dinajpur («è come se appartenessero alla mia famiglia. E star lontano dalla propria famiglia pesa») imposta da ragioni di prudenza.
Nelle ore che ormai ci stanno portanto alla conclusione dell’Anno santo della misericordia di questo lungo dialogo (che è possibile leggere integralmente a questo link) ci sembra, però, particolarmente significativo riportare soprattutto questa domanda e risposta, sullo sguardo nei confronti di chi il 18 novembre 2015 ha attentato alla sua vita:
A fine agosto la polizia ha dichiarato di aver ucciso il mandante del tuo tentato omicidio, il terrorista Khaled Hasan. Ti è capitato di pregare per chi ti avrebbe voluto uccidere?
«Sì, ho pregato per lui. (Pausa prolungata). Ma qui entriamo in un ambito molto personale. Qualcuno mi ha chiesto se ho perdonato l’attentatore: ho risposto che per me potrebbe essere relativamente facile, visto che ho avuto il grande dono di non vederlo nemmeno in faccia. Mi limito a dire che oggi prego in modo diverso, in particolare i Salmi. Prendiamo il 117: “Lodate il Signore perché è buono… Resterò in vita e annunzierò le opere del Signore; il Signore mi ha provato duramente ma non mi ha consegnato alla morte”. Nel recitarlo oggi, dopo quanto è successo, quelle parole assumono un senso nuovo e profondo».