Pechino toglie ossigeno al turismo verso Taiwan

Pechino toglie ossigeno al turismo verso Taiwan

La Repubblica Popolare Cinese ha deciso di fermare la concessione dei permessi di viaggio a Taiwan per i viaggiatori non inclusi in gruppi organizzati. Una risposta al sostegno aperto alle rivolte di Hong Kong

 

Le tensioni colpiscono uno dei settori in cui la distensione tra Pechino e Taipei sembrava consolidarsi nonostante il sostanziale blocco del percorso di convergenza secondo la teoria di “un Paese, due sistemi”. Sotto l’attuale amministrazione taiwanese – pure ostile all’integrazione che la Repubblica popolare cinese (Rpc) persegue per riportare sotto il suo controllo quella che considera una “provincia ribelle” – il turismo stava vivendo una crescita con i turisti individuali dal continente arrivati a 1,67 milioni nel primo semestre dell’anno. Un aumento del 28 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018, in recupero dopo due anni di declino dal 2015, anno di massimo afflusso turistico dal continente.

L’annuncio, il 31 luglio, che Pechino fermerà la concessione dei permessi di viaggio per i viaggiatori non inclusi in gruppi organizzati in tutte le 47 principali città del Paese da cui era possibile ottenere l’espatrio, rappresenta un evento che sicuramente tiene in considerazione l’attuale distanza degli obiettivi bilaterali. E soprattutto il sostegno aperto e in molti casi l’accoglienza per i cittadini di Hong Kong che da quasi due mesi sono impegnati in un duro braccio di ferro con il loro governo (e per suo tramite con Pechino), per vedere cancellato ogni progetto di legge sull’estradizione che consentirebbe di inviare in modo coatto nella Cina continentale non solo sospetti criminali comuni, ma anche – si teme – individui critici del regime cinese che andrebbero incontro a procedimenti giudiziari secondo standard non riconosciuti altrove.

L’azione cinese potrebbe anche essere di pressione sulla popolazione taiwanese in vista delle elezioni presidenziali dell’11 gennaio 2020 alle quali l’attuale presidente, la signora Tsai Ing-wen, intende presentarsi per un secondo mandato.

Comunque sia le conseguenze per Taiwan saranno sensibili, fino a 900 milioni di dollari. Un “buco” significativo per un’economia che ha perso slancio in sintonia con le difficoltà internazionali ma ancor più rischia contraccolpi dalla difficile ristrutturazione in corso nella Repubblica popolare cinese che nel 2018 ha importato prodotti per quasi 97 miliardi di dollari dall’isola che ha un reddito procapite medio annuo quasi tre volte superiore alla popolazione della Cina continentale.

Al di là delle sempre più frequenti incurrsioni di navi e aerei della Repubblica popolare nei pressi di Taiwan e dei reciproci “giochi di guerra” che tengono alta la pressione e la propaganda ma anche la preparazione militare sulle due sponde dello Stretto di Formosa, è tutt’altro che raro che Pechino ricorra a interventi diretti per incentivare cambiamenti a essa favorevoli sull’isola. Una strategia abituale in occasione del voto per il rinnovo del capo dello stato. In questa occasione, però, rischia di avere ripercussioni notevoli anche sull’industria turistica della Rpc, sia che venga bloccato il flusso dei visitatori individuali (un milione lo scorso anno), in crescita per la maggiore intraprendenza e possibilità economiche del cinese medio, sia a maggior ragione se finisse per includere anche i viaggi di gruppo.