I Jat sono in rivolta per chiedere che a loro – comunità rurale un tempo benestante e ora con sempre maggiori difficoltà si confronta con urbanizzazione, occupazione qualificata e una siccità già biennale – venisse riconosciuta la condizione di “gruppo meno favorito” nonostante siano considerati una casta di livello elevato nel complesso sistema di gerarchia per nascita caratteristica della tradizione induista
La protesta dei Jat che per alcuni giorni ha tenuto in scacco vaste aree dello Stato indiano di Haryana e la contigua area metropolitana che include la capitale New Delhi, degenerata in violenze costate ufficialmente 19 morti e 200 feriti, sembra avviata a una conclusione. Ma le conseguenze potrebbero essere durature.
Ad affrontare la furia dei Jat – comunità che conta otto milioni di appartenenti – migliaia di militari impegnati a impedire che la protesta arrivasse nella capitale con conseguenze imprevedibili dopo che nei sobborghi erano stati fermati un migliaio di convogli ferroviari, bloccate vie di grande comunicazione, costrette alla chiusura centinaia fabbriche, con perdite stimate in almeno 2,5 miliardi di euro. Incidenti hanno portato al coprifuoco aree densamente popolate dell’hinterland, tra cui le città di Sonipat e Bahadurgarh.
Pesanti anche le conseguenze sull’area metropolitana di Delhi, con metà dei 20 milioni di abitanti ancora senz’acqua per il blocco parziale, ma anche per l’inquinamento doloso del canale Munak che porta alla capitale i due terzi dell’acqua necessaria.
Di rilievo le ricadute politiche di una situazione che, in sé significativa, evidenza ancor più le contraddizioni del Paese.
Mentre veniva sgomberata la strada strategica per il Nord del Paese che collega Delhi alla capitale locale Chandigarh, tolto l’assedio a molte località, il governo dello Stato di Haryana, dove è nata la protesta, ha promesso pieno risarcimento dei danni e compensi per le famiglie delle vittime. Il suo premier, Manohar Lal Khattar (non un Jat come invece tradizione nello Stato) si è recato martedì nella capitale per colloqui con il comitato incaricato di esaminare le richieste della comunità. Tuttavia, Ramesh Dalal, leader del movimento che chiede un riconoscimento anche per i Jat della possibilità di entrare nel sistema di tutele pubblico ha confermato che non sarà accolta alcuna iniziativa dilatoria e che gli obiettivi della protesta non saranno cambiati.
A inasprire la situazione, la condizione di disagio occupazionale, in particolare dei giovani che colpisce i Jat, un tempo benestante comunità rurale e ora con sempre maggiori difficoltà si confronta con urbanizzazione, occupazione qualificata e una siccità già biennale. I leader cercano anche un recupero di credito dal governo il cui partito di maggioranza, il filo-induista Bharatya Janata Party, i Jat hanno votato in maggiorana nelle elezioni del maggio 2014. Senza ottenerne i benefici promessi e, anzi, trovandosi davanti un atteggiamento particolarmente rigido da parte del capo del governo centrale, Narendra Modi, verso le loro richieste.
In buona parte residenti nelle aree rurali dell’Haryana, i Jat si sono rivoltati per chiedere che a loro – nonostante siano considerati una casta di livello elevato nel complesso sistema di gerarchia per nascita caratteristica della tradizione induista – venisse riconosciuta la condizione di “gruppo meno favorito” per consentire l’accesso a impieghi pubblici e posti e borse di studio negli istituti di studi superiori come previsto dalla legge.
Una delle situazioni paradossali del grande Paese asiatico la cui realtà è frazionata in una miriade di interessi sociali, economici, religiosi che ne condizionano sviluppo e reddito. Che riconosce benefici percepiti come privilegi alle caste inferiori nonostante la costituzione neghi legittimità alle caste e proibisca ogni discriminazione.
Esponenti della Chiesa cattolica indiana hanno espresso perplessità davanti al possibile riconoscimento governativo dello stato di arretratezza dei Jat, negato invece ai cristiani originari di caste inferiori e in generale a chi, di fede minoritaria, vive in condizioni di difficoltà economica o emarginazione.