Grazie alle borse di studio, l’Istituto St. Paul accoglie molti giovani delle campagne di Phnom Penh, che altrimenti non avrebbero la possibilità di avere un’istruzione superiore
C’è chi insegna imprimendo bene nelle menti degli studenti definizioni e regole; chi lo fa imponendo la propria idea e mostrando una sola direzione; c’è poi chi insegna conservando il significato originario della parola, cioè traducendo in “segni” e creando attraverso questi delle situazioni che consentono agli alunni di scoprire, inventare, costruire i concetti.
L’Istituto St. Paul prova a fare questo nelle campagne a sud di Phnom Penh, in Cambogia. Nato nel 2009 da un sogno di mons. Olivier Schmit-thaeusler (vicario apostolico della capitale), garantisce una formazione di alto livello a studenti disagiati che possono accedere a questa università attraverso borse di studio e senza spostarsi forzatamente in città lontano dalla famiglia, a cui sarebbe venuto a mancare un supporto negli ordinari lavori di casa e nei tempi del trapianto e del raccolto del riso. Per questo motivo, vengono assegnati alle giovani matricole sussidi che coprono dal 25 al 100% delle tasse universitarie e l’attribuzione avviene in base alla situazione economica delle famiglie, dopo che membri dello staff le hanno visitate personalmente.
Il progetto è nato con i corsi di laurea in Agraria e Informatica, a cui si sono aggiunte negli anni successivi le facoltà di Inglese, Turismo e Operatore sociale. Quest’ ultimo corso di laurea, offerto solo da tre istituti universitari in tutta la Cambogia, è stato inaugurato nell’anno accademico 2013-2014 per dare la possibilità di formare i giovani che vogliono operare nel sociale, perché non siano “solo” uomini di buona volontà (di cui c’è tanto bisogno, non si fraintenda), ma perché abbiano anche delle competenze da spendere per il loro Paese e la loro gente. Alla base dell’Istituto St. Paul c’è il sogno di garantire agli studenti un’educazione olistica e integrale che abbracci l’uomo nella sua totalità. Una formazione attenta quindi non solo a rispondere al bisogno di istruzione attraverso un insegnamento di qualità, ma anche interessata alla molteplicità dei bisogni della persona il cui benessere è inteso come priorità nel gruppo e nella comunità.
Benessere ricercato e promosso tramite l’offerta sia di programmi didattici di qualità con insegnanti qualificati, che di programmi formativi extra-curriculari che abbracciano e mirano a promuovere varie dimensioni: spirituale, sociale, intellettuale, psicologica, artistica tramite la cura e l’attenzione al singolo. Anche a questo scopo è nato nel campus dell’Istituto lo Student Life Office (Slo): uno spazio per ritrovarsi e favorire le relazioni tra gli studenti e con i professori, per essere ascoltati e se possibile aiutati nella soluzione di problemi accademici, ma non solo. Lo staff dell’ufficio ha il compito di incoraggiare gli studenti a diventare anche loro attori protagonisti del processo educativo e di crescita, perché nessun cambiamento può prescindere dalla partecipazione diretta degli interessati, dal contributo di ogni persona e dalla valorizzazione di quello che si è e si ha. Così si accompagnano gli studenti a sviluppare le proprie capacità, a far emergere domande e sogni, a stimolare il pensiero critico e l’assunzione di responsabilità personale e sociale, fornendo esperienze complementari ai programmi accademici, che utilizzino tipi di linguaggi diversi da quello dell’educazione formale.
Tra questi nuovi linguaggi spiccano il club di studio di gruppo di inglese e di informatica, ma anche corsi di cucina e lezioni di musica, dibattiti in inglese, partite di calcio e pallavolo e ancora forum di discussione su argomenti di interesse sociale e la possibilità, per gli studenti di agricoltura, di sperimentarsi direttamente sul campo con la coltivazione di ortaggi. Si dà cioè a questi giovani la possibilità di costruire e concretizzare le loro idee e il “loro genio”, perché la maniera migliore di incoraggiarli è mostrare cosa possono diventare le loro intuizioni.
Questo sogno educativo olistico e integrale è quanto meno innovativo per non dire “rivoluzionario” per il contesto e la cultura cambogiana, in cui gli attori (nemmeno troppo protagonisti) dell’azione educativa formale sono da tempo stati solo gli insegnanti, mentre agli studenti spettava il ruolo di bottiglie vuote da riempire. Per ora siamo solo agli inizi, sarà necessario e bello rispettare i tempi di maturazione di questo progetto perché possa prendere piede in pienezza, perché possa essere “toccato” e vissuto da tutti, perché possa essere scelto, fatto proprio e riespresso con le modalità che la cultura cambogiana richiede.
Nel mentre, però, qualche piccolo sogno osa essere sognato e comincia a prendere forma sotto i nostri occhi. Seth e Somphoa, ad esempio, per mancanza di disponibilità economica avevano accantonato l’idea di studiare all’università ed erano andati a lavorare in fabbrica: la possibilità di un salario mensile fisso, seppure basso, è una garanzia per l’economia della famiglia basata sull’agricoltura, e quindi imprevedibile e instabile. Ma la possibilità data dall’Istituto St. Paul risveglia i loro sogni: Seth e Somphoa hanno trovato il coraggio di lasciare la fabbrica per inseguire i loro desideri e ora sono studenti universitari.
A poca distanza dall’Istituto St. Paul, e facenti parte dello stesso progetto educativo, sono sorti negli anni tre dormitori per l’accoglienza degli studenti provenienti dalle province più lontane. Ad oggi i dormitori ospitano 150 studenti tra ragazzi e ragazze, e tre responsabili. Gli studenti pagano 10 kg di riso al mese e un piccolo contributo di mezzo dollaro al giorno per tre pasti. La struttura dei dormitori e l’organizzazione del personale fa sì che non siano collegi con norme rigide.
Questo rende la convivenza a volte faticosa e un po’ “anarchica” (sono le fatiche da accogliere quando un progetto è nuovo e lo scarto tra il sogno e la realtà si fa sentire), ma allo stesso tempo fa dei dormitori non un piccolo paradiso asettico e avulso dalla realtà, ma uno specchio fedele della vita nella società cambogiana dove il più “forte” o il più “furbo” trae vantaggi dalle situazioni senza pensare al bene comune e dove invece gli onesti si spendono anche per gli altri. Ed è proprio in questo contesto che nascono degli interrogativi spinosi su come affrontare le ingiustizie, le disuguaglianze e le loro conseguenze, sulla responsabilità personale e sociale nella costruzione di un bene comune. È bello accompagnare gli studenti nella complessità e attualità di queste questioni e l’affrontarle diventa un’ulteriore possibilità per crescere nella consapevolezza di sé, per fare esperienza del bene comune o partecipato, per porsi delle domande sulla propria cultura e società, senza darle per acquisite una volta per tutte, ma cominciando a partecipare a un cambiamento senza aspettare che venga calato dall’alto. La bellezza del St. Paul è proprio quella di offrire possibilità di studio, crescita, cura, ascolto e di sognarsi in modo diverso.
E così capita che chi cresce perché “è stato sognato” a sua volta sogna che altri crescano e possano avere una vita bella. Una decina di studenti del dormitorio, per esempio, si è organizzata in un gruppo con il nome “Ponte dell’amore” con lo scopo di aiutare, con le proprie possibilità di tempo ed economiche, alcune famiglie in difficoltà nelle vicinanze dell’Istituto, facendo arrivare non solo aiuti economici, ma anche amore e vicinanza. È stato bello vedere il loro sogno crescere all’inizio con tanta passione e poca concretezza e poi prendere lentamente forma quando riconosciuto e incoraggiato. Sogno che si è scontrato con grosse povertà economiche, di istruzione e di pensiero della gente del villaggio, ma che è rimasto desiderio per una qualità della vita, bella e dignitosa e possibile per tutti. E insieme abbiamo scoperto che non si va verso i più poveri per aiutare, ma perché noi per primi abbiamo sperimentato la nostra povertà e per primi “siamo stati sognati”. MM