La scuola, con le lettere e la scrittura, con i numeri e le formule, dovrebbe servire a questo, a far presentire che c’è un segreto oltre il visibile
«È una meraviglia il poco che basta all’anima (…)
Poche gocce d’inchiostro e un foglio di carta» Paul Valéry
C’è in me una certa ostinazione a costruire scuole. Alcuni giorni fa, di ritorno dalla casa di una nostra alunna che non siamo riusciti a recuperare – aveva lasciato la scuola una settimana prima lasciando intendere che non sarebbe più tornata – ho percepito l’urgenza di continuare nella stessa direzione: costruire altre scuole! Proprio perché l’abbiamo persa, bisogna continuare. Sophiep, questo è il suo nome, ha lasciato la scuola convinta dai genitori. Troppo anziani e soli per arrangiarsi nelle incombenze di tutti i giorni. Sophiep deve accudirli, cucinare per loro. Ultima di tanti figli, nata avanti negli anni, è anche l’unica ad essere rimasta con loro. A volte il nostro destino ha così tante variabili, indipendenti da noi, che non possiamo farci niente. «Non smettere», gli avevamo detto in quest’ultima ambasciata di futuro, ma niente da fare. Di fronte al padre anziano e alla madre di pochi anni più giovane, abbiamo desistito e siamo tornati a casa. Con l’amarezza di aver perso un’alunna, una persona che camminava con noi.
Eppure questo episodio, insieme a tanti altri, ci sprona ancor di più a favorire la scolarizzazione delle ragazze, specialmente nelle aree rurali. Prima che vengano addocchiate da mediatori senza scrupoli che, sempre in agguato, combinano matrimoni con improbabili mariti, di solito provenienti dalla Cina. Alla famiglia viene dato un minimo di tremila dollari, almeno dalle mie parti…
Dobbiamo per questo offrire luoghi, anche solo «poche gocce d’inchiostro e un foglio di carta», per continuare a coltivare un desiderio che sappia bucare il cielo. «È una meraviglia il poco che basta all’anima dell’intelletto per rendere tutto quello che aspetta e per impegnare tutte le potenze delle sue riserve per essere se stessa (…) Poche gocce d’inchiostro e un foglio di carta, materia che permette l’addizione e la coordinazione d’attimi e gesti, bastano …» (Paul Valéry).
Se da una parte i nostri ragazzi/e sono come un cantiere aperto, sempre in costruzione, a partire da ciò che sono e hanno ricevuto, dall’altra vorremmo che sentissero il loro destino non solo come un’avventura di questo mondo, ma come qualcosa che riguarda Qualcuno di più grande che li ha voluti e che ancora li cerca. Solo quando riusciamo a trasmettere il presentimento, proprio della coscienza cristiana, che tutto ciò che esiste, esiste perché creato da Dio e si definisce per il suo carattere filiale, allora abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.
La scuola, con le lettere e la scrittura, con i numeri e le formule, dovrebbe servire a questo, a far presentire che c’è un segreto oltre il visibile. Dovrebbe servire ad aprire finestre, spalancare porte, varcare soglie, verso qualcosa di più profondo, «a dismisura della sete» – scrive il poeta R. Barsacchi.
La storia dell’arte documenta questa fatica che a volte assume i tratti violenti della disperazione. Pur di aprire non già porte, ma semplici varchi, feritorie, con la fiducia preventiva che dietro o dentro la superficie di ogni cosa e il volto di ogni persona, vi sia una profondità ancora inedita, un segreto da disseppellire. Questo fa Lucio Fontana in Concetto spaziale (1962), con quei tagli irriverenti sulla superficie piatta della tela, e della vita, per aprire un varco e andare oltre. «Io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce – racconta lui stesso – tutti hanno creduto che io volessi distruggere, non è vero, io ho costruito non distrutto». Ogni arte opera un taglio, crea un varco, anche solo per origliare noi stessi sentirci chiedere con Jacopo Ortis «non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia?».
Cercare una possibile risposta a queste domande, con le lettere e con i numeri, con l’immaginazione e con la ragione, con i giochi e con le gite scolastiche, è il nostro compito. Lo sento, dentro e fuori di noi, è sempre lì, il carattere filiale di ogni cosa che solo la coscienza cristina intuisce. Anche là dove l’ombra sembra più densa della luce. «In questi silenzi – scrive E. Montale – in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto (…) lo sguardo fruga d’intorno / la mente indaga accorda disunisce (…) Sono i silenzi in cui si vede / in ogni ombra umana che si allontana / qualche disturbata Divinità» (I limoni).
Con questi intenti abbiamo costituito un’associazione di insegnanti dal nome buffo, “I maestri di campagna”! Si tratta di un gruppo di ex-alunni della nostra prima scuola (2007), e di altri volenterosi giovani laureati che hanno beneficiato delle nostre borse di studio, che ora sono disposti ad insegnare in una o entrambe le nostre scuole di campagna. Stiamo infatti lavorando per aprire un terza scuola, un’altro piccolo liceo. Ancora «poche gocce d’inchiostro e un foglio di carta». Ci bastano…