Prak Giovanni Battista Hong è il primo tribale bunong a diventare sacerdote. Una storia di fede e tenacia che hanno superato la povertà e molte difficoltà
«Padre, vorrei diventare prete. Cosa devo fare?». «Caro ragazzo, sei troppo in ritardo con gli studi, meglio pensare a una professione, essere un buon cristiano, costruire una famiglia unita e annunciare il Vangelo là dove sarai». Diverse volte ho sostenuto un dialogo di questo tipo nei miei anni alla guida della parrocchia del Bambin Gesù a Phnom Penh. Più volte mi sono trovato a raccogliere il desiderio di alcuni giovani che chiedevano di entrare in seminario: alcuni erano cambogiani, altri di origine vietnamita profughi nel Paese, altri ancora di origini tribali.
Era piuttosto complicato pensare di fare intraprendere un cammino verso il sacerdozio a questi ragazzi che arrivavano da me attorno ai 15 anni con una scolarità ferma alle elementari, ma né io né loro ci siamo persi d’animo: abbiamo cominciato così nel 2009 l’esperienza dell’ostello San Michele Arcangelo dove i giovani approdavano alla vita comunitaria, di preghiera, di studio e di servizio liturgico, caritativo e della comunità, proprio per verificare la loro vocazione.
Fu una scelta azzardata che tuttavia ha dato i suoi frutti. Il primo tra questi ragazzi a essere approdato oggi al sacerdozio è Prak Giovanni Battista Hong, ora trentenne, che il 29 giugno è stato il primo tribale bunong a ricevere il sacramento dell’Ordine. Un primato accompagnato da quello relativo alla tenacia e all’affidamento incondizionato a Dio fin dai primissimi segni della sua vocazione.
Hong arrivò da me a Phnom Penh grazie al fratello Prak Neth (cfr “MM”, agosto 2019), responsabile dell’ostello per studenti San Francesco d’Assisi della parrocchia. Durante le vacanze estive Neth mi mandò una lettera in cui mi chiedeva di accogliere il fratellino di 15 anni che viveva nel villaggio di Busra con i genitori e non poteva andare a scuola perché troppo distante: una giornata di cammino. Il ragazzino aveva interrotto gli studi in quarta elementare ma il desiderio di proseguire la formazione era forte e valeva la pena dare spazio a quest’aspirazione di un giovane proveniente da un ambiente che non dava importanza all’educazione scolastica perché i bisogni primari erano impellenti e assolutamente prioritari.
Così Hong arrivò a Phnom Penh nel settembre del 2005. Completò le elementari e frequentò due anni di medie con corsi accelerati messi a disposizione da una ong di origine francese. Con i dirigenti scolastici valutammo poi di fargli seguire un corso professionale da cuoco: dopo due anni Hong aveva il cappello bianco in testa e lavorava in un ristorante rinomato della capitale.
Era trascorso circa un anno quando un amico comune mi disse: «Padre, Hong vorrebbe entrare in seminario». «Non ci credo», replicai. «Hong non ha mai espresso questo desiderio, e poi non ha ancora la terza media: se dovesse iniziare ora passeranno 15 anni prima che possa arrivare a celebrare l’Eucaristia. Comunque digli di venire a parlare con me».
Immaginavo che mai sarebbe venuto, lui che era un giovane di poche parole, dagli occhi vispi e buoni. Invece arrivò, col sorriso sulle labbra e la domanda pure: «Voglio fare il prete». Dissi: «Va bene, allora quest’anno lavorerai e farai la licenzia media da privatista». Pensavo che desistesse, invece disse sì e raggiunse l’obiettivo. Allora tornai a parlargli: «Ora devi fare i tre anni di liceo per avere la maturità, ma dovrai continuare a vivere per conto tuo. Hai qualcuno che ti supporti?». «Si, mio fratello Neth». Non era scontato che una famiglia povera come la sua accettasse che lui lasciasse un lavoro ben remunerato per entrare in seminario. Hong viene da un retroterra animista: erano stati i genitori a scegliere il cattolicesimo e poi a battezzare i figli.
Il giovane iniziò dunque le superiori, i compagni lo chiamavano “zio” vista l’età avanzata… Passò un anno, nel frattempo era nata la comunità San Michele Arcangelo di cui entrò a far parte fino ad arrivare alla maturità con successo. Finalmente, l’anno dopo poté entrare in seminario, dove avrebbe seguito un percorso durato ben 8 anni.
All’inizio, quando lo presentai al rettore, lui fu scettico visto il carattere poco loquace e la storia formativa del ragazzo. Gli dissi che Hong non sarebbe forse diventato un teologo ma certamente sarebbe potuto diventare un buon sacerdote per il suo carattere tenace e per il suo vivere da uomo di Dio, nella semplicità della preghiera e delle relazioni vissute in schiettezza e trasparenza.
Anche negli anni di seminario Hong ha giocato la carta della sua determinazione, sostenuto dall’intera famiglia, completando gli studi filosofici e teologici. Ebbi il piacere di averlo tra i miei studenti. Nel 2017 tenni l’ultimo corso a Phnom Penh ed ebbi la certezza che questo giovane avrebbe portato a termine il percorso. Quando, pochi mesi fa, ho ricevuto la notizia della data della sua ordinazione, non ho potuto far altro che ripromettermi che avrei fatto il possibile per esserci.
Un viaggio lunghissimo, su strade difficili e scomode, ma arrivare a Busra, nel mezzo dei monti al confine tra Cambogia e Vietnam e poter dare l’abbraccio sacerdotale a questo ragazzo è valso davvero una vita da missionario. Un abbraccio che riassume un cammino lungo e tortuoso ma fatto nella certezza della compagnia costante di Dio, avvolti dalle sue sorprese e dai suoi miracoli, affidati alla sua benevolenza. Benevolenza che ha preso forma anche attraverso molti sostenitori che hanno dato il loro contributo affinché gli studenti degli ostelli potessero proseguire gli studi. Quando iniziai questi progetti non potevo immaginare quale grande circolo virtuoso di bene si sarebbe generato. La storia di Hong ne è una dimostrazione, ma potremmo raccontarne molte altre. MM