Padre Gustavo Benítez del Pime è tra gli organizzatori della Giornata asiatica dei giovani, su mandato della Federazione delle Conferenze episcopali del continente. Ecco come si stanno preparando
In Asia l’annuncio del Vangelo ha radici antiche. Ma la Chiesa è giovane. E non è solo una questione di numeri. Padre Gustavo Benítez del Pime da un anno e mezzo è responsabile della pastorale dei giovani di tutta l’Asia, su incarico della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Federation of Asian Bishops’ Conferences, Fabc). In questi ultimi mesi ha lavorato in modo assiduo all’organizzazione della Giornata asiatica dei giovani, che si terrà dal 30 luglio al 9 agosto in Indonesia.
«A colpirmi, nei diversi Paesi che visito, è soprattutto l’entusiasmo dei giovani – dice padre Gustavo -. Molti di loro vivono letteralmente immersi in società a maggioranza buddhista, musulmana o indù ma non per questo li vedo scoraggiati. Sono entusiasti e hanno voglia di essere protagonisti. Secondo la mia esperienza, la Chiesa cattolica in Asia sta diventando per i giovani qualcosa di importante».
Padre Benítez proviene dalla “fine del mondo” come Papa Francesco. Nato nel 1972 a Resistencia, nel Nordest dell’Argentina, è arrivato in Cambogia nel Duemila da volontario laico con la Societé des missions étrangères du Quebec (Sme), per occuparsi delle persone disabili. In missione ha maturato la sua vocazione sacerdotale, e nel 2002 ha scelto di lasciare l’istituto canadese per cui lavorava per entrare nel Pime. Nel 2009, dopo gli studi in Italia, è stato ordinato. E nell’ottobre dello stesso anno è ripartito per la Cambogia. «Mi sento un figlio dell’America Latina inviato all’Asia», dice di sé.
Nella campagna a nord della capitale Phnom Penh, padre Gustavo è responsabile di tre comunità a pochi chilometri dal fiume Mekong, due composte da immigrati di origine vietnamita e una di cattolici autoctoni khmer. «Fra i vietnamiti e i cambogiani la convivenza in passato non è stata facile, e sono proprio i giovani oggi a costruire ponti fra le due comunità».
Appena tornato in Cambogia da sacerdote, padre Gustavo si è occupato su richiesta del vescovo della pastorale giovanile. «La Cambogia è un Paese giovane – fa notare – con un’età media della popolazione che si aggira intorno ai 22 anni, mentre solo il 3,7% ha più di 65 anni! Tutto questo interpella da vicino la Chiesa cattolica. La sfida principale è la formazione umana e cristiana. Negli ultimi anni abbiamo organizzato, in diverse aree del Paese, ritiri, laboratori e anche sinodi per i giovani, e durante questi incontri il numero dei partecipanti è sempre andato crescendo. Alcuni provengono da famiglie cattoliche, altri chiedono di accedere al cammino per il catecumenato: dura dai tre ai quattro anni ed è un percorso impegnativo, che richiede molta convinzione».
La Giornata asiatica dei giovani a Yogyakarta è soprattutto un momento di condivisione e formazione, spiega padre Gustavo. Per undici giorni, a partire dal 30 luglio, nell’arcidiocesi indonesiana di Semarang, oltre duemila giovani cattolici da 24 Paesi asiatici si confronteranno sul tema “Gioventù asiatica in festa! Vivere il Vangelo nell’Asia multiculturale”. I primi giorni i ragazzi saranno sparsi in 11 diocesi indonesiane, dove vivranno giornate di condivisione immersi nel contesto locale. Poi tutti si raduneranno a Yogyakarta per i momenti di catechesi, liturgia, festa, durante i quali metteranno in comune le loro storie, ritrovando l’elemento unificante della fede in Cristo. In conclusione si terrà l’incontro dei responsabili della pastorale giovanile dei diversi Paesi partecipanti, un momento di formazione per riflettere sui programmi da proporre nei prossimi quattro anni.
«La Giornata si svolge ogni tre anni dal 1999, sempre l’anno dopo rispetto alla Giornata mondiale della gioventù (Gmg) – spiega padre Gustavo -. Al primo raduno, in Thailandia, c’erano 500 giovani, quest’anno siamo al settimo e abbiamo fissato un tetto di circa duemila partecipanti. Sono numeri diversi rispetto alla Gmg, ma anche l’obiettivo lo è. Si vive insieme ogni momento della giornata, in uno spirito di condivisione. Ci si confronta sui problemi, cercando di aiutarsi reciprocamente. Poi ci sono momenti di spiritualità e preghiera comunitari».
È consuetudine che la metà dei partecipanti della Giornata asiatica dei giovani provenga dal Paese ospitante, in questo caso l’Indonesia; l’altra metà , invece, arriva dal resto del continente. Per la prima volta quest’anno partecipano venti ragazzi dalla Mongolia, e una decina dal Pakistan, mentre i gruppi più numerosi, circa un centinaio di persone, provengono dalle Filippine e dall’India.«Sono stato in Pakistan poche settimane fa e ho incontrato comunità molto vive – afferma padre Benítez -. Il problema non è l’entusiasmo dei giovani, ma la situazione politica. A fare da freno in alcuni Paesi sono le condizioni economiche: diversi animatori che contattano il mio ufficio vorrebbero portare un gruppo più numeroso di amici, ma mancano le risorse per poter partecipare».
A scegliere il tema della Giornata asiatica dei giovani è la Conferenza episcopale del Paese ospitante, partendo dal contesto locale con uno sguardo a tutto il continente. «La sfida della multiculturalità, così come quella della diversità religiosa, è molto sentita dai giovani asiatici – spiega padre Gustavo -. Quasi tutti vivono in Paesi dove la maggioranza della popolazione professa un’altra fede. Qui in Cambogia il buddhismo è la religione ufficiale e i rapporti sono molto buoni. In altri Paesi, purtroppo, non è così. Nel 2015 in Malaysia alcuni giovani ci raccontavano che per poter trovare lavoro dovevano tacere il fatto di essere cattolici e tutti sappiamo i grandi problemi vissuti dai cristiani in Pakistan».
Una delle sfide prioritarie individuate dalle Conferenze episcopali asiatiche è la formazione. «La globalizzazione è arrivata ovunque e cerchiamo di affrontare problemi come la pornografia on line, il traffico di esseri umani e la droga proponendo una formazione sia a livello umano che spirituale. I giovani cristiani asiatici sono pieni di entusiasmo, ma non vanno lasciati soli».