Sabato ricorrono i quattro anni dal martirio di padre Fausto Tentorio. Quattro anni senza giustizia. Ma soprattutto quattro anni di un’impunità che allunga la scia di sangue: si continua a calpestare e uccidere in nome della terra e delle sue risorse a Mindanao. È la denuncia che padre Peter Geremia ha messo per iscritto in una nuova lettera inviata al ministro della Giustizia delle Filippine
Era il 17 ottobre 2011. E quindi sono passati ormai quattro anni. Ricorre sabato l’anniversario dell’uccisione nell’Arakan Valley, nelle Filippine, di padre Fausto Tentorio, missionario del Pime che ha speso la sua vita tra le popolazioni tribali, gli ultimi tra gli ultimi nella tormentata isola di Mindanao (proprio in questi giorni tornata al centro dell’attenzione in Italia per il rapimento di Rolando Del Torchio).
È un anniversario che come ogni anno i manobo e le altre comunità tribali di Mindanao celebreranno non solo come un ricordo del passato, ma con un grido quanto mai presente: #stoplumadkillings è l’hashtag che hanno lanciato insieme ai Rural Missionaries of the Philippines in occasione di questo annimersario. Dove lumad – le genti della terra – è il nome con cui si autodefiniscono le popolazioni tribali. E killings sono le esecuzioni extragiudiziali che vanno avanti, come tragicamente avvenuto appena poche settimane fa nella provincia di Surigao del Sur proprio nella Giornata che papa Francesco ha istituito per la salvaguardia del creato.
Omicidi che vanno di pari passo con le minacce dell’esercito ai villaggi dei tribali: è di queste settimane il caso di White Kuluman, nella zona di Kitatao a Bukidnon. Guarda caso proprio la stessa zona in cui nel 2003 padre Tentorio subì un altro tentativo di omicidio, al quale sfuggì in maniera rocambolesca. Un’operazione militare che ha portato all’arresto di alcuni sospetti fiancheggiatori dell’Npa (la guerriglia di matrice marxista) è stata condotta in maniera talmente violenta da costringere alla fuga l’intero villaggio. E ora militari non vogliono più che i manobo vi ritornino. E con il villaggio è sparita anche una delle scuole che padre Fausto aveva fondato e che era l’unica possibilità di istruzione per 53 bambini.
È la drammatica quotidianità della battaglia per la sopravvivenza dei tribali a Mindanao. Ed è dentro questo contesto che si inserisce anche la battaglia perché la giustizia filippina finalmente individui e porti a processo i killer di padre Fausto. Battaglia difficilissima, perché nelle Filippine è l’assoluta normalità che chi uccide su ordine di qualche potente goda anche delle coperture che gli permettono di farla franca. Battaglia lunga e dunque poco consona a un’Italia lontana, che si emoziona un giorno per la morte del missionario, ma poi volta pagina e dimentica senza troppi problemi. Ma è una battaglia che a Mindanao padre Peter Geremia, l’anziano missionario e amico di padre Fausto che ne ha raccolto l’eredità, continua in maniera testarda a portare avanti bussando a mille porte. Così – qualche settimana fa – ha intrapreso l’ennesima iniziativa: ha scritto una lunga lettera al ministro della Giustizia delle Filippine, la signora Leila de Lima, ricapitolando nomi e dettagli sulle lentezze e le inadempienze di questi quattro anni di insabbiamenti dell’inchiesta. Nel frattempo, però, Leila de Lima si è dimessa dal suo incarico: correrà per un posto al Senato nelle elezioni del prossimo maggio. Così anche questa lettera probabilmente rimarrà in qualche cassetto a Manila.
Ma almeno qui vogliamo dare voce alla denuncia di padre Peter, riportando la parte finale dela sua lettera: quella che dà il senso più profondo della battaglia per la giustizia che continua a Mindanao.
«La proliferazione di gruppi come i Bagani, gli Alamara e altre formazioni paramilitari simili in diverse aree di Mindanao – scrive padre Peter Geremia – hanno provocato tanti altri omicidi come quello di padre Fausto; hanno causato evacuazioni di massa che hanno costretto gli agricoltori ad abbandonare le loro terre, forzato i bambini ad abbandonare le loro scuole, come nel caso dei 700 sfollati da Talaingod, nella provincia di Davao del Nord, e ora nella comunità di White Kuluman, Bukidnon; a questo si possono aggiungere atrocità come l’omicidio del direttore dell’Alcadev School, Emerito Samarca, e di altri due leader comunitari avvenuta il 1° settembre 2015 a Surigao del Sur. Alle fasce più povere e vulnerabili della popolazione, le popolazioni indigene e i piccoli agricoltori, sono state date armi per combattere l’Npa. È questa la strada per risolvere il problema dell’insurrezione o non sta questa strategia degenerando in un contesto senza legge e in un ritorno alle strategie dei tempi della Legge marziale?
L’amministrazione Aquino – continua padre Geremia – aveva annunciato una nuova politica nel fronteggiare l’insurrezione: “non vogliamo più vincere la guerra, come ai tempi di Marcos e di Gloria Arroyo, vogliamo vincere la pace”, era stato detto. Le autorità civili e tutte le organizzazioni comunitarie, comprese le chiese, devono affrontare il problema dell’insurrezione armata. Ci sono iniziative di dialogo in corso, molti gruppi a Mindanao si stanno mobilitando per arrivare alla pace e sono presenti in tutti e tre i gruppi: i coloni, i tribali e le popolazioni Moro (i musulmani ndr). Possiamo dare alla pace una possibilità e liberarci dall’approccio della repressione militare, che ha fallito già per tanti anni nell’intento di porre fine all’insurrezione armata e ci sta riportando al clima della Legge marziale?
Il caso Tentorio è solo uno dei bagni di sangue in questa nostra battaglia per la giustizia e la pace. Ce ne sono stati pure tanti altri. Ma se la giustizia continuerà ad eludere anche il caso di Father Pops (il soprannone di Tentorio ndr), un prete cattolico e straniero, allora l’impunità regnerà e incoraggerà i responsabili a compiere ancora altre azioni sfrontate e brutali, come quelle avvenute a Tampakan, a Talaingod, a White Culuman a Surigao del Sur e in altre parti di Mindanao.
Il 17 ottobre 2015 cadrà il quarto anniversario della morte di padre Tentorio. Possiamo sperare che tutte le risorse spese per seguire questo caso, che tutte le persone che vi hanno lavorato, che tutte le preghiere e le marce, possano produrre segnali concreti che dicano che la giustizia è possibile per le vittime delle “esecuzioni extra giudiziali” e che alla pace nelle nostre comunità può essere data una possibilità?».
È questo grido che non vogliamo far spegnere in questo quarto anniversario della morte di padre Fausto. E che rilanceremo anche da Milano, mercoledì 28 settembre, con una serata speciale in sua memoria al Centro missionario Pime di Milano, nell’ambito delle iniziative dell’ottobre missionario. Una serata accompagnata anche da un libro che racconta tutta la sua storia, che sembra uscita dalle pagine dell’enciclica Laudato Sì. Perché anche dalla Milano che all’Expo2015 si nutre soprattutto di parole si alzi una voce per dire almeno: #stoplumadkillings.