Suor Roberta Pignone, missionaria dell’Immacolata e medico, vive da dieci anni in Bangladesh, da dove ci manda questo messaggio per la Giornata missionaria mondiale. «Che cosa non posso tacere? Quello che ho visto e udito, quello che il Signore ha fatto nella mia vita: amata prima di tutto, scelta, chiamata, inviata e ancora amata, amata e amata»
Sono giorni intensi e non ho molto tempo per fermarmi, però oggi celebriamo la Giornata missionaria mondiale e proprio come dice la parola che il Santo Padre ha scelto per quest’anno: «Non posso tacere». È bello pensare che oggi in tutto il mondo si celebra questa Giornata e quindi ci saranno tante preghiere per noi missionari.
Ricordo che quando eravamo giovani e partecipavamo alla Veglia missionaria mondiale, vedevo i missionari che ricevevano il crocifisso, mi sembravano degli eroi e mai avrei immaginato che questa esperienza di vita sarebbe successa anche a me! Quante cose belle pensa il nostro Padre per noi, che di certo non ci aspettiamo.
E così eccomi qui da più di dieci anni in Bangladesh! Di eroico c’è proprio poco ma di folle sì, così come piace dire a me. Follia d’amore, che spettacolo! E allora che cosa non posso tacere? Quello che ho visto e udito, quello che il Signore ha fatto nella mia vita: amata prima di tutto, scelta, chiamata, inviata e ancora amata, amata e amata.
Il 29 di ottobre saranno 15 anni dalla mia prima professione o come tanti hanno detto quel giorno: «La Pigno è diventata suora!». Che belli questi 15 anni, che bel cammino ho fatto guidata dal Signore che mai manca di far sentire la sua tenerezza. E di questi 15 anni, 10 qui in Bangladesh a sperimentare quanto è bello poter cercare di essere balsamo per gli altri.
Non è facile perché si tratta sempre di cercare di uscire da sé, di andare oltre, di cercare un qualcosa che non sempre è quello che desidero. Situazioni da accettare che sono assolutamente diverse da come le vorrei io, in questo Paese dove tanto è diverso, dove spesso le cose sono proprio al contrario di come le ho sempre fatte e pensate! E non è che con il tempo ci si sente migliori, anzi!
“Testimoni e profeti”: belle queste parole che sono state scelte per questa Giornata. È quello che sono chiamata a essere qui, testimone di una vita che è stata salvata e redenta dal suo amore perché questa è l’esperienza di Dio che ho fatto e profeta di una speranza che c’è per tutti anche per quelli che non sperano più. E con il mio servizio questo è quanto vorrei condividere, c’è una cura per tutti, una attenzione per quelli che ormai non hanno pensano più di meritarla.
Questa settimana che si è conclusa è stata dura: Shuma, una mia paziente di 22 anni, è morta proprio la scorsa domenica, aveva i polmoni rovinati dalla tubercolosi e lascia un bambino disabile con il quale il rapporto era di simbiosi. Avevo desiderio di andare a trovarla prima che morisse, ma non ci sono riuscita, non ho trovato il tempo. Non deve succedere mai più che io non possa trovare la possibilità di andare a trovare chi sta male e magari proprio alla fine.
Aklima è un’altra paziente prossima a terminare la terapia per la tubercolosi. Tre settimane fa mi ha detto di essere incinta; le ho assicurato che la terapia non danneggia il feto. Ho almeno cinque “cuccioli” bellissimi che sono nati da madri che facevano la terapia durante la gravidanza, bel segno della vita che vuole riprendere ad essere feconda dopo la malattia. Il marito di Aklima ha deciso che deve abortire e non si discute, domani la vedrò e tutto ormai è stato fatto. Non sono riuscita a far loro cambiare idea; quando l’ho incontrata lunedì, Aklima mi ha spiegato molto bene quello che avrebbe fatto per abortire.
Durante la settimana ho saputo che Jesmin, un’altra paziente in terapia, ha dato al mondo una bambina, ecco che ce l’abbiamo fatta, la vita ha vinto su tutto il resto.
Rileggendo quanto ho scritto trovo l’espressione “non sono riuscita” due volte e “ce l’ho fatta” una volta sola. Potrebbe sembrare un fallimento allora, ma credo che l’amore donato in attenzione e cura non sia mai un fallimento anche se poi il termine è la morte. Ecco quello che spesso vivo e mi viene chiesto di portare insieme alle mie pazienti, che spesso mi fanno regali: c’è chi pensa allo yogurt acido che tutte sanno mi piace molto fino ai sandali che sono difficili da trovare perché il mio piede è così lungo e non facile da “vestire”, però una mia paziente ce l’ha fatta e li ha trovati.
Questi sono tutti piccoli grandi segni che mi dicono che l’amore passa, la cura è Vangelo incarnato, ed è quello che mi piace. Non posso parlare di Gesù, ma sono sicura che in qualche modo, attraverso le mie mani, il mio sguardo, il mio sorriso che anche ora nonostante la mascherina non smetto di donare, passi proprio quello che ho visto e udito.
Dico con la mia vita che c’è un Padre buono che vuole solo il nostro bene e la nostra felicità e la mia gioia è il poter essere un piccolo e fragile strumento che dica tutto questo.
Per questo mio desiderio vi chiedo di continuare a pregare per me e spero proprio che nelle nostre chiese ci sia la possibilità di dare ascolto a qualche missionario, è un’esperienza che mi ha sempre dato tanta emozione e gioia. Siete sempre nel mio cuore e una preghiera speciale c’è sempre, insieme all’affetto grande Buona Giornata missionaria mondiale!