Ritratto di famiglia nella Cina che cambia

Ritratto di famiglia nella Cina che cambia

Arriva nelle sale “The Farewell – Una bugia buona” della regista Lulu Wang, un film che racconta il valore delle radici, la solitudine degli anziani e lo spaesamento delle seconde generazioni. A partire dai modi diversi di porsi di fronte a una malattia

 

“Conosci te stesso”, scolpito nel tempio di Delfi, è uno dei moniti più famosi della cultura occidentale. Riuscirci è difficile per chiunque, ma per i figli di immigrati è ancora più complicato, perché significa mettere insieme i pezzi di un puzzle che quasi mai combaciano perfettamente. Le seconde generazioni sono portatrici di diverse identità che possono entrare in conflitto: l’alchimia è riuscire a tenerle insieme. Il cinema ci ha regalato diversi film dedicati a questo tema, tra cui l’indimenticabile East is East (1999). Alla vigilia di Natale arriva nelle sale italiane The Farewell – Una bugia buona della regista e sceneggiatrice Lulu Wang, nata a Pechino e dall’età di sei anni cresciuta negli Stati Uniti.

Il film è ispirato a una vicenda realmente vissuta dalla famiglia Wang. La protagonista, Billi, come la regista è figlia di cinesi emigrati negli Stati Uniti. Vive e New York e sogna una carriera nel mondo dell’arte. Quando d’improvviso apprende dai genitori che la sua amatissima Nai Nai (in mandarino, “nonna”) è ammalata di tumore e che le restano pochi mesi di vita, la ragazza è disperata. I due figli della matriarca con le rispettive famiglie, da decenni in America e in Giappone, decidono di riunirsi a Changchun – la città dove vive la nonna – per una sorta di addio collettivo. D’accordo con la sorella minore di Nai Nai, che si prende cura di lei, il padre di Billi e suo fratello decidono che la nonna non deve assolutamente sapere nulla della malattia. “La gente non muore di cancro, muore di paura”, si dice chiaramente nel film. Nai Nai sta ancora bene, quindi occorre trovare una bugia credibile per giustificare la riunione familiare. Così, in fretta e furia, il cugino di Billi viene spinto a sposare la sua fidanzatina giapponese per regalare alla nonna l’ebbrezza e la gioia di organizzare il matrimonio in Cina, con tutto il parentado e gli amici. Billi raggiunge la famiglia e lotta contro la decisione di nascondere la verità alla nonna.

Per chi nasce in Occidente, il diritto del singolo individuo di essere informato sulla propria salute è fuori discussione. Questa è la prima differenza che Lulu Wang sottolinea. “E se Nai Nai volesse dire addio agli amici?”, si domanda angosciata la nipote. La sua visione cozza contro quella del resto della famiglia. “In Oriente la vita di una persona è parte di un tutto. La famiglia, poi la società”, controbatte lo zio. Si sceglie di proteggere il malato: la visione occidentale di “dire tutto” equivale a lavarsi le mani. Caricarsi di questa responsabilità implica sopportare il peso del dolore. Neppure il giovane medico cinese che ha studiato in Inghilterra e che ha in cura la nonna appoggia Billi. “Molte famiglie cinesi sceglierebbero il silenzio”, le dice.

Un altro merito di Lulu Wang in The Farewell – Una bugia buona  è quello di darci un vivido ritratto di una famiglia cinese di oggi che non ne riassume certo la complessità e le infinite sfaccettature, ma esprime interessanti dinamiche. Dalla ricerca accanita del successo per la prole al desiderio di ricchezza, dalla solitudine degli anziani – i cui figli emigrano non solo all’estero, ma anche in altre zone del Paese – allo straniamento dei giovani che perdono le proprie radici: l’occhio della regista coglie ogni suggestione.

La famiglia, come la Cina, è travolta dal vorticoso cambiamento economico e sociale degli ultimi trent’anni. Pur ostentando i simboli della modernità e del benessere ormai diffuso (case moderne, auto, internet, lussuosi centri benessere) ci si rifugia nella tradizione per salvaguardare la propria identità. Il gigantesco e un po’ pacchiano banchetto di matrimonio è il trionfo della matriarca Nai Nai, il luogo dove i legami sociali e l’immagine pubblica della famiglia vengono confermati.

Billi porta sulle spalle il fardello di tristezza per la nonna, ma anche il dolore del proprio destino. In America convive con la nostalgia per un altrove che ha conosciuto da bambina, ma una volta in Cina è totalmente spaesata. Con tristezza guarda dai finestrini del taxi alle centinaia di casermoni che si stagliano verso il cielo dove c’era la casetta di Nai Nai con il giardino in cui lei e il nonno cacciavano le libellule. È questa la sua Cina della memoria, che non esiste più. Il suo straniamento è quello vissuto da ogni diaspora, ma che qui si dilata a dismisura per la velocità immane dei mutamenti in corso. E così nel film vediamo Billi, che parla male il cinese, ingobbirsi, quasi per rendersi meno visibile, esprimendo anche col corpo il disagio.

Se l’eroina di The Farewell – Una bugia buona è la tenacissima nonna, che accoglie con amore, cibi e passione la famiglia senza dar peso alla sua malattia, un altro personaggio straordinario è quello della sorella che, con confuciano spirito di abnegazione, ridisegna la sua vita per esserle vicino. Lulu Wang ha scritturato la sua vera zia, che nel film interpreta se stessa. Tutto il cast è perfetto, ma la rapper Awkwafina – americana di origini sinocoreane – nel ruolo di Billi è particolarmente convincente.