Nel Territorio scosso da più di un anno dalle proteste si doveva andare alle urne il 6 settembre per il rinnovo dell’Assemblea legislativa. Per la prima volta l’opposizione avrebbe avuto chance di vittoria. Ma prima è arrivata la scure del blocco delle candidature ha fermato Joshua Wong e altri undici candidati poi oggi la governatrice ha annunciato il rinvio di un anno del voto causa Covid-19
Nel calendario dello scontro politico che da mesi attraversa Hong Kong c’era una data cerchiata in rosso: quella di domenica 6 settembre. Per quel giorno, infatti, erano in programma le elezioni dell’Assemblea legislativa, il Parlamento della Regione Autonoma Speciale di Hong Kong, come si chiama ufficialmente l’ex colonia britannica da quando il 1° luglio 1997 è passata sotto la sovranità cinese. È la settima volta che i cittadini di Hong Kong sono chiamati a eleggere l’Assemblea legislativa, ma anche stavolta il sistema adottato non sarà un vero suffragio universale. Il meccanismo prevede infatti che solo 35 dei 70 membri del Parlamento siano eletti direttamente dai cittadini. Gli altri 35 sono invece espressione di altrettante “circoscrizioni funzionali”, in pratica organizzazioni di categoria che eleggono i propri rappresentanti. Ed è proprio grazie a questo meccanismo – molto più facile da controllare – che dal primo voto nel 1998 fino ad oggi le forze pro Pechino sono sempre riuscite a garantirsi la maggioranza dei seggi in un’Assemblea che oltre ad avere prerogative legislative vota i bilanci presentati dal Chief Executive, il capo del governo di Hong Kong, la carica dal 2017 ricoperta da Carrie Lam.
In teoria, questa volta, l’esito sarebbe molto meno scontato: lo si è visto già il 24 novembre 2019, quando alle elezioni distrettuali – quelle che designano i componenti dei consigli di quartiere – le forze dell’opposizione hanno fatto il pieno alle urne. Con un’affluenza record di quasi 3 milioni di elettori (oltre il 70 per cento) il fronte dei democratici in quell’occasione ha ottenuto 388 seggi sui 452 in palio, lasciandone ai partiti vicini a Carrie Lam appena 62. Si trattò di una vittoria solo simbolica, visti i poteri molto limitati dei consigli distrettuali. Ma da quel giorno è apparso chiaro che la partita del 6 settembre 2020 è aperta. E le preoccupazioni di Pechino sono aumentate.
L’entrata in vigore il 1° luglio della contestata legge sulla sicurezza nazionale si può interpretare anche a partire da qui. L’opposizione democratica non fa mistero stavolta di puntare a superare i 35 seggi nella nuova Assemblea legislativa di Hong Kong. Per arrivarci sta seguendo lo stesso metodo che ha funzionato nelle elezioni distrettuali: superare le divisioni interne che in passato hanno portato alla dispersione dei voti. Per questo l’11 e il 12 luglio sono state organizzate delle elezioni “primarie”: a promuoverle sono stati il giurista Benny Tai e l’ex parlamentare Au Nok-hin con l’obiettivo ben preciso di individuare candidati condivisi per ciascuna delle cinque grandi circoscrizioni territoriali, ma anche per alcune delle circoscrizioni funzionali.
L’iniziativa è stata apertamente osteggiata dal governo di Hong Kong: la sera precedente la polizia ha fatto irruzione nella sede del Public Opinion Research Institute – l’organismo co-organizzatore del voto – sequestrando i computer con l’accusa di “utilizzo disonesto”. Un chiaro messaggio di intimidazione, accompagnato dalle parole del ministro per gli Affari costituzionali, Erick Tsang, secondo cui «quanti hanno organizzato e partecipato alle elezioni primarie dovranno fare molta attenzione a non violare la legge». Senza dimenticare che il 18 aprile – prima ancora dell’entrata in vigore della nuova normativa sulla sicurezza nazionale – quindici tra i maggiori esponenti dell’opposizione democratica a Hong Kong (Martin Lee, Albert Ho, Jimmy Lay Albert, Lee Cheuk-yan…) erano stati arrestati per aver sostenuto le dimostrazioni dell’estate scorsa contro la legge sull’estradizione e stanno per questo affrontando un processo.
Nonostante tutto questo, l’11 e il 12 luglio oltre 600 mila persone si sono recate comunque alle urne per le “primarie”, dando un nuovo segnale di forza del movimento pro democrazia a Hong Kong. E il governo filo-Pechino io n queste ore ha reagito in tre mosse. Ieri è giunta la notizia che la candidatura del più votato nelle primarie – il giovane attivista Joshua Wong – e di altri undici esponenti dell’opposizione democratica sono state bloccate. Nel frattempo vi sono stati anche i primi arresti di altri giovani che sui social network avevano semplicemente riproposto gli slogan delle manifestazioni di piazza. Oggi infine la governatrice Carrie Lam – di fronte alle notizie di una nuova crescita di contagi da Covid 19 – ha annunciato il rinvio di un anno “per ragioni sanitarie” dello stesso voto del 6 settembre.
Le elezioni per l’Assemblea legislativa si profilavano come un passaggio-chiave per capire quanti spazi reali di libertà siano rimasti a Hong Kong. I segnali di queste ultime ore confermano tutte le preoccupazioni.