Ottomila chilometri lungo i quali sono transitati commercianti e guerrieri, uomini d’affari e di cultura. E molti viaggiatori. Come l’autrice di questo articolo e di una mostra fotografica
Molte sono le ragioni per partire. Si parte per ricordarsi chi siamo, per riempire una mappa vuota. Si ha la sensazione che lì batta il cuore del mondo. Si parte per entrare in contatto con altre identità umane, per percorrere le molteplici vie della fede. Si parte perché si è giovani e si desidera toccare l’eccitazione del mondo, bruciare le miglia, per sentire la polvere sotto i propri passi. Si parte perché si è vecchi e si vogliono conoscere quante più cose possibili prima che sia troppo tardi. Si parte per scoprire quello che succederà.
Se innumerevoli sono le strade da percorrere, una sola tuttavia rimane, nell’immaginario comune, la via per eccellenza: la Via della seta, un reticolo di circa ottomila chilometri di itinerari terrestri, marittimi e fluviali lungo i quali nell’antichità si snodavano i principali commerci fra l’impero cinese e quello romano. Sono poche o forse nessuna le realtà comparabili di mondi lontanissimi eppur connessi fra loro dall’origine dei tempi.
La Via della seta da sempre è il passaggio obbligato e il punto speciale d’incontro della cultura tra Oriente e Occidente. Le ripide pareti montuose di Fergana, che chiudono a strapiombo l’aspra via di transito, hanno visto Marco Polo, Gengis Khan, Tamerlano lasciare orme indelebili di un leggendario cammino nella letteratura, nella storia dei popoli e nell’architettura straordinaria. Questo passaggio ancora oggi unisce, come la cruna dorata di un ago, un patrimonio inestimabile: qui si lega l’arte sublime delle favolose città di Khiva, Bukhara e Samarcanda, oltre il difficile confine uzbeco con l’intatta armonia d’incredibili colori e forme delle catene montuose kirghise.
Superate le cime celesti, pellegrini, avventurieri, mercanti e sognatori ancora s’incontrano nei mille volti dei Buddha che il deserto custodisce gelosamente fra le sue dune cantanti. Merci rare e preziose, al pari di antiche credenze o curiose usanze, hanno dato vita ad un’originale koiné culturale capace di avvicinare popoli solo in apparenza lontani.
Quel che oggi sembra tanto distante si rivela, da millenni, intimamente intrecciato. La virtù della parola e il fiuto per gli affari si sono sostituiti alla spada e ai cercatori di tesori, ma ancora l’antica via raduna genti e avvicina popoli con la stessa immutata forza che qui spinge gli uomini a incontrarsi. Che le sorti del mondo dipendano da ciò che avviene in questa vasta zona del pianeta, è una percezione antica, oggi confermata quotidianamente da guerre, trame e agguati. Una storia, dunque, quanto mai utile da conoscere.
Anche a questo scopo, è stata realizzata la mostra fotografica “Sulla Via della seta”, che racconta il mio viaggio solitario, compiuto a più tappe fra il 2010 e il 2012, dall’antica capitale cinese di Xi’an fino al Pakistan e attraverso gli altipiani dell’Asia centrale, nella terra dei temibili Kan di Marco Polo.
È ben difficile, in geografia come in morale, capire il mondo senza uscire da casa propria; così scriveva Voltaire e lo confermano tutti coloro che hanno intrapreso, per i motivi più vari, quest’avventura senza pari per giorni, mesi, anni della loro vita… Siamo al mondo per stupirci, ma ciò che, personalmente, rende il mio stupore comprensibile è da sempre la possibilità di incontrare persone e vivere da vicino situazioni altrimenti troppo remote per essere raccontate a qualcun altro. Così diventa naturale affittare il primo cavallo in buona salute per esplorare le alture del Kirghizistan, chiedere ospitalità per la notte in una yurta di fortuna incontrata lungo il cammino e non avere paura in Paesi stranieri, dove il linguaggio comune non può più essere quello della parola scritta o parlata.
Abituata sin da piccola ai lunghi viaggi grazie a mio padre, studioso e scrittore, ho presto riconosciuto il mezzo d’espressione più istintivo per trasmettere le mie esperienze e i miei incontri: la fotografia può davvero diventare uno strumento di conoscenza e incontro potentissimo, in primo luogo per se stessi. Da allora, durante i giorni e nelle lunghe notti di spostamenti via terra, sui mezzi pubblici, la macchina fotografica è la mia fedele compagna in grado di restituire anche agli altri quei preziosi, piccoli, grandi istanti di vita vissuta. Tutto diventa di conseguenza più facile e meno ostile, perché comprensibile e umano, proprio come in ogni altro luogo della terra.