Avvocatessa cattolica pachistana, difende le ragazze vittime degli abusi ai danni delle minoranze non musulmane. Come Huma Younus, quattordicenne rapita, convertita all’islam e data in sposa al suo aguzzino
«Non è che io non abbia paura per la mia vita,ma considero assistere i cristiani perseguitati come una missione e un servizio a Dio e alla mia Chiesa. E non saranno delle minacce a fermarmi». Ha le idee chiare Tabassum Yousaf, avvocatessa pachistana da anni a fianco delle ragazze vittime degli abusi ai danni delle minoranze non musulmane del Paese. Come lei stessa, cattolica, che da giovanissima si trovò costretta ad abbandonare la scuola che frequentava perché un compagno pretendeva la sua conversione all’islam per poterla sposare. «Quando rifiutai, mi rese la vita impossibile. Mi diceva: “Tu non sai chi sono io, io e i miei amici ti rapiremo”».
Nonostante tutto, Tabassum ha completato gli studi di giurisprudenza e oggi, che ha 38 anni ed è mamma di due figli, lavora all’Alta Corte del Sindh, la provincia pachistana con capitale Karachi. E qualche mese fa ha accettato di seguire il caso di Huma Younus, la quattordicenne cristiana rapita a Karachi il 10 ottobre scorso, convertita con la forza all’islam e costretta a sposare il proprio sequestratore, Abdul Jabbar.
Yousaf, che difende gratuitamente i genitori di Huma, poverissimi e analfabeti, si è trovata così in prima linea in una dura battaglia legale, in cui le forze di polizia e lo stesso sistema giudiziario hanno dimostrato in più occasioni compiacenza e forme di connivenza con il rapitore. Il quale, oltre a continuare a sostenere che la ragazza è maggiorenne – nonostante l’evidenza dei certificati di nascita e battesimo -, ha minacciato sia i genitori di Huma sia l’avvocatessa di accusarli di blasfemia.
«Non è raro che ciò avvenga – ha commentato Yousaf -. Gli aggressori musulmani spesso evocano la legge anti-blasfemia. Dicono: “Se non smettete di cercare vostra figlia, strappiamo delle pagine del Corano, le mettiamo davanti a casa vostra e dichiariamo che avete profanato il libro sacro”». La famigerata norma – la stessa a causa della quale la cristiana Asia Bibi ha trascorso dieci anni chiusa in carcere con un’accusa di morte pendente, prima dell’assoluzione nel gennaio 2019 – è solo una delle questioni aperte che si intrecciano in questa vicenda.
Un’altra è la piaga delle conversioni forzate, in un Paese a stragrande maggioranza musulmano nel quale le minoranze di fatto sono soggette a discriminazioni e abusi dei diritti fondamentali, che si unisce a quella dei matrimoni precoci. In Pakistan una legge del 1929 fissa l’età minima delle nozze a 18 anni per i ragazzi e a 16 per le ragazze, ma a causa delle consuetudini sociali e tribali, nella pratica, le spose bambine sono moltissime. Secondo l’Unicef, il 21% delle pachistane si sposa prima dei 18 anni, un dato che nel Sindh raggiunge addirittura il 72%.
Il caso di Huma è emblematico di come le minoranze abbiano le armi spuntate per rivendicare giustizia: «Molti cristiani non sanno di avere diritti al pari dei musulmani», ha spiegato Tabassum Yousaf ad Aiuto alla Chiesa che soffre, che sta provvedendo alle spese legali per la causa. «La povertà e la mancanza di istruzione permettono ai fondamentalisti islamici di abusare dei loro poteri sociali, economici e religiosi per perseguitare i cristiani. E la magistratura subisce forti pressioni anche dalla politica».
Per questo, alcuni anni fa, la giovane avvocatessa decise che voleva fare la sua parte. «Nel 2007 conobbi la Comunità di Sant’Egidio a Karachi e, come volontaria, toccai con mano la povertà», ha raccontato. Ma la svolta venne con gli studi di legge: «Capii quanto siano vulnerabili le donne nel mio Paese: troppi casi di violenza domestica, di palesi ingiustizie, di emarginazione sociale. Ed eccomi qui».
Oggi Yousaf lavora a stretto contatto con l’arcidiocesi di Karachi, guidata dal cardinale Joseph Coutts, e con la Commissione Giustizia e Pace diocesana. L’anno scorso ha presentato pubblicamente una lista di dieci richieste, elaborata insieme al cardinale e ai leader di diverse fedi, tra cui l’innalzamento dell’età minima per contrarre matrimonio, tutele legali contro rapimenti e conversioni forzate (che coinvolgono ogni anno almeno 1.000 ragazze cristiane e indù), norme per evitare le discriminazioni. L’approvazione in Senato della proposta di legge che vieta le nozze di minorenni è stato un primo, importante risultato.
Intanto, però, i primi gradi di giudizio non hanno reso giustizia a Huma Younus che, a febbraio, ha visto respingere le richieste di Tabassum Yousaf dall’Alta Corte del Sindh, secondo cui, poiché la ragazza ha già avuto le mestruazioni, per la legge islamica si può sposare. «Ma noi non ci arrendiamo – ha dichiarato l’avvocatessa – e porteremo il caso alla Corte Suprema». Nella speranza che la crescente visibilità della vicenda possa aiutare Huma. E tante ragazzine come lei.