In occasione degli 80 anni delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Cina (Taiwan) e la Santa Sede, un convegno oggi a Roma ha ripercorso le origini e l’attualità della comunità cattolica presente sull’isola
“Beautiful Taiwan, the Field of God”, è il titolo del convegno promosso dall’ambasciata di Taipei in Vaticano per ripercorrere gli 80 anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede, ma anche per ricordare la storia e i volti della presenza cattolica sull’isola. All’evento – svoltosi alla presenza dell’ambasciatore Matthew S.M. Lee e del segretario del dicastero per l’evangelizzazione, monsignor Protase Rugambwa – sono intervenuti padre Gianni Criveller, missionario del Pime, padre Felice Chech, missionario camilliano, padre Paulin Batairwa Kubuya, sottosegretario del dicastero per il dialogo interreligioso.
Di seguito, l’intervento di padre Criveller, che è stato missionario a Kaohsiung e a Taipei dal 1991 al 1994, sul tema “Storia della missione cattolica a Taiwan”.
Gli inizi, missionari di Formosa
Nel 1624 gli olandesi occuparono la parte meridionale di Taiwan. Tre anni dopo Georgius Candidius, un funzionario e missionario olandese, estese un rapporto sulla popolazione locale: c’erano solo poche centinaia di cinesi, pescatori provenienti dalla provincia di Fujian. La gran parte della gente apparteneva a numerosi gruppi etnici.
Gli spagnoli arrivarono nel nord di Taiwan nel 1626. La chiamarono Formosa, l’isola bella, il nome coloniale con il quale Taiwan fu conosciuta in occidente. Arrivarono anche i missionari domenicani della provincia del Santo Rosario, che già operavano nelle Filippine e in Giappone: due spagnoli e 11 giapponesi. Costruirono la prima chiesa e fondarono comunità a Jilong e Danshui, nell’estremo nord.
Ai domenicani, a partire dal 1631, si aggiunsero francescani spagnoli e italiani che fecero di Taiwan una tappa per entrare in Cina. Da Taiwan attraversarono lo stretto per sbarcare nel Fujian. In questo modo evitarono Macau, sotto il padroado portoghese, che impediva ai non gesuiti di entrare in Cina. Nel 1633 due francescani e due domenicani, tra i quali Antonio Maria Caballero e Domingos Morales entrarono in Cina seguendo questa rotta. Contestarono il metodo missionario dei gesuiti dando vita alla nota controversia dei Riti cinesi. Nel 1642 i missionari cattolici e gli spagnoli furono espulsi dagli olandesi della Compagnia Unita delle Indie Orientali. Finì così la prima missione cattolica a Taiwan.
Nel 1662 il condottiero cinese Zheng Chenggong, (Koxinga nelle fonti occidentali), pretendente al trono della dinastia Ming e impegnato nella resistenza contro la conquista mancese della Cina, si impadronì di Fort Zeelandia (Tainan), il centro della presenza degli olandesi, che furono costretti a lasciare Taiwan. Venti anni dopo, nel 1683, i Qing sconfissero il breve regno di Koxinga ed estesero il controllo su Taiwan per piegare l’ultima resistenza dei Ming. Fu allora che Pechino esercitò per la prima volta il controllo sull’isola.
La seconda fase: la difficile missione spagnola
Taiwan fu ceduta ai giapponesi nel 1895 a seguito del trattato di Shimonoseki. Nel breve intermezzo tra la firma e la presa di possesso venne dichiarata la Repubblica di Formosa, la prima dell’Asia. Nel 1945 Taiwan fu restituita alla Cina in seguito alla sconfitta giapponese nella seconda guerra mondiale.
La storia della presenza cattolica era, intanto, ripresa nel 1859, grazie ancora ai domenicani spagnoli, che operavano nella provincia di Fujian da due secoli. Da Xiamen i missionari attraversarono lo stretto e si stabilirono a Kaohsiung, città principale nel sud dell’isola. Per novanta anni, fino all’arrivo di Jiang Jieshi (Chiang Kai Shek) nel 1949, i domenicani furono i soli missionari cattolici sull’isola.
L’opera dei domenicani non fu facile: la composizione etnica, sociale e culturale dell’isola era molto complessa. Le adesioni al cattolicesimo erano rare. Alla fine dell’800 i cattolici erano poco più di 1000, concentrati in pochi villaggi dove le comunità vivevano isolate dal contesto.
Particolare menzione merita il piccolo villaggio di Wanchin, a 60 chilometri a sud di Kaohsiung. L’intero villaggio aderì al cattolicesimo a partire dagli anni 60 dell’Ottocento e conservò la fede nonostante l’ostilità da parte delle autorità e dei villaggi confinanti. Ancora oggi è un luogo speciale. A Wanchin la pratica della fede rimane forte e qui sono nate molte vocazioni religiose. Nella basilica, l’8 dicembre si celebra con grande solennità l’Immacolata Concezione. In quell’occasione la fede viene espressa attraverso una originale combinazione di elementi tradizionali cinesi, di costumi delle popolazioni locali e di forme religiose ereditati dai missionari spagnoli.
Ma nel resto di Taiwan la Chiesa crebbe lentamente. Il primo seminario fu aperto solo nel 1920. La presenza giapponese pose i cristiani in una posizione difficile. Per appianare i rapporti con il governo giapponese, nel 1912 Taiwan divenne Prefettura apostolica autonoma, di lingua giapponese, staccata da Xiamen.
I domenicani fecero ogni sforzo per attirare i Taiwanesi alla fede. Ma erano pur sempre i fieri avversari dei Riti cinesi. E ciò accrebbe la difficoltà dell’adesione al Vangelo di una popolazione rurale molto interconnessa con la terra, le sepolture, gli antenati, la famiglia e le tavolette con i nomi dei defunti. La situazione cambiò solo a partire dal secondo dopoguerra. Nel 1935 e nel 1939 la Santa Sede ribaltò la decisione di Benedetto XIV del 1742, dichiarando che i riti tributati a Confucio e agli antenati erano ammissibili.
Nel frattempo, con la riforma agraria, l’industrializzazione, l’alta scolarizzazione e l’urbanizzazione, la gente di Taiwan si emancipò dalla dipendenza dalla terra e dalla famiglia tradizionale, e dunque dalla pratica dei riti per gli antenati.
La vicenda diplomatica coinvolge Taiwan
La Santa Sede e la Repubblica di Cina hanno stabilito le relazioni diplomatiche nel 1942: è l’evento che celebriamo oggi. Il secondo ambasciatore cinese presso il Vaticano, siamo nel 1946, fu il noto giurista, studioso e politico cattolico John Wu. Si convertì al cattolicesimo grazie all’amicizia con Nicola Maestrini, missionario del Pime a Hong Kong. John Wu è l’autore di La scienza dell’amore, un bellissimo saggio dedicato a Teresa di Lisieux, dove Teresa viene descritta come sintesi dell’etica confuciana e della mistica taoista.
A causa degli sconvolgimenti politici in Cina l’inter-nunzio Antonio Riberi fu espulso da Pechino e la nunziatura presso la Repubblica di Cina nel 1951 si trasferì a Taipei. Riberi visitò anche Hong Kong, ma la città era allora una colonia britannica, e non poteva essere la sede di una presenza diplomatica. I rapporti siglati da Pio XII con la Repubblica di Cina erano, appunto, rapporti con la Cina: la Santa Sede scelse di rimanere presente in territorio cinese.
Nel 1970 Paolo VI visitò Hong Kong e inviò un inascoltato appello alle autorità della Repubblica Popolare Cinese. L’anno successivo il papa ridusse lo status diplomatico delle relazioni inviando a Taipei un incaricato d’affari. Paolo VI volle mostrare la disponibilità della Santa Sede verso la Cina e nessun papa ha mai visitato Taiwan.
La terza fase: la chiesa cinese in esilio a Taiwan
All’inizio degli anni cinquanta c’erano 11mila fedeli, 12 domenicani spagnoli e tre preti taiwanesi. Dalla Cina, oltre che l’inter-nunzio Riberi, arrivarono più di 800 sacerdoti e varie altre centinaia di suore, cinesi e no. Con loro anche un milione di soldati e rifugiati: l’esodo ebbe un impatto enorme trasformando l’isola in modo radicale e indelebile. Vi fu un’impressionate crescita dei cattolici, che raggiunsero il numero di 300mila. Metà della popolazione cattolica appartiene ai gruppi etnici concentrati nelle zone montuose al centro dell’isola.
Sono state costituite sei diocesi e fondate scuole, pensionati, ospedali, università e centri culturali. Con le opere sociali si venne incontro alle necessità del popolo in anni di grave emergenza per l’enorme afflusso di profughi.
La chiesa di Taiwan ha un primato singolare: negli anni 60 e 70 ha avuto la più alta percentuale al mondo di religiosi rispetto al numero dei cattolici. Tuttavia i vescovi e i presbiteri provenienti dalla Cina contavano di tornarci quanto prima, e crearono una specie di Chiesa in esilio, poco radicata tra la popolazione locale. Anche l’uso della lingua nazionale a scapito del taiwanese ha fatto sentire la chiesa poco Taiwanese ai Taiwanesi.
Quarta fase: la Chiesa taiwanese e le sfide dell’evangelizzaione
A questa situazione si è posto rimedio negli ultimi 30 anni, quando la lingua taiwanese è stata adottata nella liturgia e tutti i vescovi vengono scelti tra la popolazione locale, di qualsiasi gruppo etnico.
Negli anni Settanta, grazie allo studio teologico dell’università cattolica di Fujen (Taipei), c’erano state proposte di adattamento liturgico: lettura di brani dai classici sapienziali cinesi nelle celebrazioni; rappresentazione delle immagini sacre in stile cinese.
Nella città di Kaohsiung c’è l’unica chiesa, di cui io ricordi, ad avere il presbiterio e l’altare che si rifà alla forma di un tradizionale altare familiare per la venerazione agli antenati. È la chiesa di Santa Caterina da Siena costruita, anche nel suo esterno, in stile cinese.
Rimangono tuttavia le sfide dell’evangelizzazione nei tempi della modernità e a fronte di una società in grande trasformazione. Tanto si è fatto per preservare l’identità delle popolazioni non cinesi delle montagne. Questi gruppi, di circa 200 mila persone, ognuno con una propria lingua e cultura, si sono rivelati assai disponibili ad accogliere il Vangelo. Il futuro di queste popolazioni è alquanto incerto. I giovani lasciano le montagne per riversarsi nelle zone industriali lungo la costa, e facilmente smarriscono la loro identità e fede.
Ora le adesioni al cattolicesimo sono diventate rare. L’incontro con una persona interessata al cristianesimo è un caso felice. Il cristianesimo è ancora visto da molti estraneo al mondo cinese, e una realtà complicata da capire e da praticare. Ma è pur vero che si è fatto uno sforzo notevole verso la società e i giovani. Non si mira al successo numerico ma alla testimonianza credibile del vangelo, nella dinamica evangelica del piccolo gregge.
A Taipei mi colpiva l’adesione di un giovane di Taiwan alla fede. Umanamente parlando non arreca nessun vantaggio, anzi questa scelta implica difficoltà e resistenze da parte della famiglia e degli amici. Mi sembra dunque vera opera della Grazia.
Termino con questo pensiero: le circostanze storiche hanno obbligato Taiwan e la Santa Sede a camminare insieme tanti anni. Non si può considerare Taiwan come un mero retaggio storico del quale ci si può liberare. Taiwan è piccola, ma la sua vicenda ha un grande significato: qui la Chiesa è libera e in pace. C’è libertà, pluralismo, dialogo tra credenti di diverse fedi e democrazia. Non è poco in questo tempo dove si ama così poco la libertà, il dialogo e la democrazia.