Fuggita dal Myanmar nel 2005 in seguito alle persecuzioni e discriminazioni verso la minoranza, è ora la prima ragazza Rohingya a raggiungere questo obiettivo nel Paese. E la sua storia dona speranza alle giovane ragazze che, come lei, hanno il desiderio di studiare e andare a scuola
Tasmida Johar – una ragazza appartenente al gruppo etnico dei Rohingya, la minoranza musulmana che conta centinaia di migliaia di esuli dal Myanmar buddista – ha conseguito la laurea in scienze politiche presso l’Università di Delhi. È la prima donna Rohingya rifugiata a frequentare gli studi e a conseguire il titolo.
Da anni ormai i Rohingya hanno subito una brutale repressione militare che secondo le Nazioni Unite è stata condotta con un “intento genocida” dal Tatmadaw – l’esercito birmano – distruggendo interi villaggi dandovi fuoco e portando ad un esodo che solo nella sua ultima ondata,avvenuta nel 2017, ha coinvolto più di 700mila persone. La maggior parte è fuggita in Bangladesh, trasformando il distretto di Cox’s Bazar nel più grande campo profughi del mondo.
Tasmida – 26 anni, nata in Myanmar come Tasmin Fatima – ha raccontato ad Al Jazeera di come i suoi genitori abbiano dovuto cambiarle il nome: «In Myanmar non si può andare a scuola e ricevere un’istruzione se non si ha un nome buddista. Mi sento felice per i titoli di giornale su di me, ma allo stesso tempo mi rende anche triste. Sono felice per essere arrivata fin qui, ma mi rattrista il fatto di essere la prima a farlo quando tante donne Rohingya volevano arrivare a questa posizione ma non ci sono riuscite», aggiunge raccontando la discriminazione nelle scuole in Myanmar.
«Se a scuola si otteneva il primo posto, non ti davano il premio se non eri buddista”, racconta Johar. “I numeri di matricola venivano assegnati prima ai bambini buddisti e poi a noi e non ci era permesso di parlare ad alta voce, dovevamo sempre sederci in fondo alla classe. Ci era anche vietato indossare l’hijab a scuola. Se le autorità scoprivano che un Rohingya possedeva un’attività commerciale, venivano attaccati e imprigionati – ha aggiunto. Mio padre aveva un’attività di esportazione e vendita di frutta e verdura. Molto spesso veniva arrestato e rilasciato solo dopo che la polizia gli aveva sottratto del denaro».
Nel suo libro Tasmida: viaggio di una ragazza Rohingya sfollata due volte racconta del viaggio insieme alla sua famiglia in fuga dallo Stato Rakhine in cui viveva, prima verso il Bangladesh e poi in India, vedendosi così sfollata una seconda volta. Con l’aumentare delle persecuzioni, la famiglia lasciò il Myanmar nel 2005. A Cox’s Bazar il padre aveva iniziato a lavorare come operaio a 64 anni, mentre la madre, 56 anni, in una fabbrica locale. Anche Tasmida – che aveva studiato fino alla terza elementare – ha dovuto ricominciare da capo e imparare il bengalese, l’urdu e l’inglese e successivamente anche l’hindi.
Nel 2012, dopo essersi trovata ad affrontato violenze mirate alla comunità Rohingya in Bangladesh, la famiglia ha deciso di trasferirsi in India, arrivando prima in Haryana, nell’India settentrionale, e poi nel campo di Kalindi Kunj, a sud-est di Delhi. In India sono quasi 20.000 i Rohingya rifugiati registrati dalle Nazioni Unite, alcuni arrivati anche prima del 2017; più di mille vivono alla periferia di New Delhi. Anche in India, non sono sparite le preoccupazioni e le paure: «Non volevo che la mia identità venisse rivelata a tutti i bambini a scuola, perché non volevo alcun trattamento speciale né volevo affrontare l’indifferenza o essere chiamata terrorista. Per questo motivo, per la maggior parte del tempo sono rimasta chiusa in me stessa».
Soprattutto da quando nel 2014 il partito nazionalista indù è salito al potere, anche i Rohingya sono vittima di discorsi d’odio e attacchi; l’anno scorso il governo ha dichiarato l’intenzione di tenerli in campi di detenzione fino a quando non saranno deportati in Myanmar – atto che violerebbe il principio di non-refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 di cui, però, l’India non è firmataria.
«Molte volte non trovavo posto sull’autobus, ma questo non era nulla in confronto a ciò che avevamo affrontato – continua Tasmida -. I rifugiati rohingya che mandano le loro figlie fuori a studiare, pensano ‘che cosa succede se il governo le prende? E se venissero rapite, stuprate o vendute?’. Per questo motivo, c’è una perenne ansia per i propri figli». Così la maggior parte dei bambini del suo quartiere studia nei campi o a casa.
«Ora le persone della mia comunità hanno visto i titoli dei giornali e hanno capito che anche loro possono essere visibili. Improvvisamente ho iniziato a ricevere commenti del tipo ‘sapevamo che ce l’avrebbe fatta’ e ‘anche nostra figlia diventerà come la tua’». «La ragione per cui mia madre mi sostiene è Tasmida. Ora lo capisce e mi dà il permesso di uscire e studiare di più», conferma Mizan Hussain, 21 anni.
Tasmida rientra tra i 25 studenti rifugiati selezionati dal programma dell’UNHCR-Duolingo per aiutare persone svantaggiate e accademicamente brillanti a proseguire gli studi superiori. Al momento, è in attesa di una lettera di accettazione dall’Università Wilfred Laurier in Canada e dice di voler diventare un’attivista per i diritti umani in futuro. «Voglio lottare per i diritti all’istruzione, alla salute delle donne oppresse e alzare la voce contro il traffico di ragazze. Il mio sogno è andare alla Corte internazionale di giustizia e raccontare la situazione dei rifugiati Rohingya. È giusto che una Rohingya prenda il microfono e dica la verità, visto che siamo stati cancellati».
L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da questa video-testimonianza di Tasmida disponibile on line