Thailandia, le infiltrazioni jihadiste alimentano il radicalismo buddhista

Thailandia, le infiltrazioni jihadiste alimentano il radicalismo buddhista

Lentamente come risposta ai tentativi di infiltrazione jihadista si fa strada un estremismo buddhista che si fa forte dell’identità religiosa del Paese e della rinnovata spinta nazionalista sotto l’attuale governo a guida militare

 

Mentre cresce l’allarme per la diffusione nel Sud-Est asiatico di gruppi e cellule collegate all’autoproclamato califfato, vi sono anche segnali inquietanti sulla crescita di nuovi radicalismi di segno opposto.

Il tentativo dei gruppi jihadisti di mettere radici nella regione è un dato di fatto. Le notizie di fonte indonesiana confermano non solo la presenza di combattenti di questo Paese nel Sud delle Filippine e altrove ma che nello stesso arcipelago indonesiano sarebbero almeno una quindicina le cellule “dormienti” pronte a attivarsi per azioni terroristiche. Il rischio di un “contagio” jihadista, mutato da una fedeltà rivolta soprattutto a Al Qaeda a una favorevole alla proposta di Stato islamico avanzata dal Daesh, coinvolge soprattutto Paesi musulmani, come – appunto – l’Indonesia, ma anche la Malaysia e il Brunei. Tuttavia nelle ultime settimane è sembrato concretizzarsi anche nelle provincie a consistente presenza musulmana della Thailandia, presso il confine malese.

Nonostante la frontiera porosa, aperta a traffici di ogni genere inclusa la tratta di esseri umani, il governo militare al potere a Bangkok ha sempre negato la possibilità di una infiltrazione jihadista nel suo territorio. La scoperta di un traffico di armi ha però alzato il livello di attenzione e imposto di considerare il rischio che elementi esterni arrivino a complicare una situazione sicuramente già tesa, con episodi quasi quotidiani di violenze e sovente vittime che sono parte di un conflitto a bassa intensità con gruppi di ispirazione islamista, eredi di una lunga militanza indipendentista in aree annesse all’ex Regno del Siam un secolo fa ma che per lingua, cultura e fede sono più prossime ai malesi che ai thai. Migliaia di vittime e un solco di crescente tensione tra buddhisti e musulmani hanno segnato in particolare negli ultimi tredici anni la realtà locale.

Questo ha provocato un crescente risentimento dei buddhisti che in diverse aree vivono sotto la protezine dei miitari per evitare ritorsioni. Il che non ha impedito, però, aggressioni e omicidi che hanno avuto come vittime soprattutto monaci e insegnanti. Una conseguenza è stato l’esodo, un’altra un estremismo buddhista in ascesa che si fa forte dell’identità religiosa del Paese e della rinnovata spinta nazionalista sotto l’attuale governo a guida militare. «Non credo che le cose torneranno mai come prima. La gente ha ora un diverso atteggiamento a causa della violenza – segnala un influente monaco buddhista della regione -. Alcuni vedono il buddhismo come vittima e fanno ricadere la colpa delle violenze sull’islam o ritengono che i musulmani locali fiancheggino i violenti», e questo ha messo fine ai contatti diretti tra i leader religiosi.

La nascita, lo scorso anno, della Rete dei buddhisti per la protezione del buddhismo è un segnale che la politica ufficiale di fornire – per evitare un loro contagio integralista – fondi e sostegno alle comunità musulmane invece dell’autonomia richiesta e per molti necessaria, va provocando effetti collaterali

Lentamente si fa strada in altre aree del Paese l’islamofobia, mentre gruppi conservatori sponsorizzano monaci e famiglie che si trasferiscono nelle aree a predominanza musulmana. Mosse che non servono ad arrestare l’emorragia dei seguaci del Buddha. «Oltre il 70 per cento dei buddhisti hanno abbandonato il profondo Sud – segnala il leader della Rete -. Se l’esodo continuerà con questa intensità tra cinque o sei anni non ci saranno più buddhisti nella regione». La sua proposta di un Parco dedicato alla religione maggioritaria da costruire a Pattani, ha sollevato proteste accese da parte dei musulmani locali e per molti è vista come una provocazione per portare a una ulteriore militarizzazione. Un gioco rischioso.