Il racconto di padre Marco Ribolini, missionario del Pime tra gli Akha, una delle minoranze tuttora ai margini nel Paese: «Una famiglia della nostra missione di Mai Suay ha avuto l’onore di portare uno dei doni al Papa durante la Messa. Li ha fatti sentire parte della Chiesa universale»
C’era anche una rappresentanza tribale, tra i thailandesi che hanno avuto l’onore di portare l’offertorio durante la messa di giovedì allo Stadio Nazionale di Bangkok. Una famiglia di etnia akha, proveniente dalla missione di Mai Suay, una delle quattro (le altre sono Fang, Ban Thoet Thai e Ngao) dove il Pime svolge il suo servizio tra minoranze ancora escluse dal progresso e sovente emarginate dalla società.
Dopo un evento a cui hanno partecipato rappresentanze cattoliche di ogni settore della società thailandese e molti anche dai paesi vicini, gli akha hanno scritto a padre Marco Ribolini, il missionario che ne ha seguito da vicino il viaggio nella capitale thailandese, con toni entusiasti: «Siamo orgogliosi come mai lo siamo stati nella nostra vita; sembrava impossibile anche solo pensare che persone normali come noi potessero avvicinarsi così tanto al Santo Padre». Una gioia che il missionario attivo tra i tribali indica come “comprensibile”, anche nel contesto di una evento che ha provocato fortissima eccitazione, in particolare tra i battezzati delle etnie che abitano le aree più isolate della Thailandia settentrionale e la cui partecipazione alla preparazione e all’incontro con Francesco è stata limitata dalle quote predefinite per ragioni organizzative, ma anche dalla difficoltà per molti di ottenere i documenti d’identità che potessero garantire loro lo spostamento legale verso la lontana Bangkok
«Mi sembra che dal punto di vista dei nostri tribali la visita del Papa sia stata un grandissimo successo – sottolinea padre Ribolini -. Non hanno mancato di ribadire la loro presenza davanti alla convocazione della Chiesa per il Santo Padre e i vari eventi hanno visto una intensa partecipazione della nostra gente che si è fatta notare per i colori accesi degli abiti tradizionali. La visita non è stata di per sé segnata da discorsi epocali rispetto alle problematiche che la Chiesa thailandese sta affrontando, ma ha avuto il grande pregio di dare conforto, di spronare questa piccola minoranza ad essere significativa nella società locale e di cercare strade comuni per la costruzione di un mondo di pace basato anche sul dialogo con la religione buddhista. Tutti temi cari al Santo Padre».
«Se devo evidenziare un punto, direi che la visita del Papa è stata per la nostra gente un momento in cui ha “assaggiato” finalmente la dimensione cattolica e universale della Chiesa. La presenza ai vari momenti di un’enorme folla – continua il missionario – ha aperto prospettive più ampie ai nostri tribali che vengono da esperienze sociali e di Chiesa limitate soprattutto alla dimensione del proprio villaggio, del proprio clan e della propria tribù, che fossilizzano la dimensione minoritaria, religiosa e culturale, che rischia di diventare un recinto invalicabile».
L’incontro con il Papa, accedere anche se per poche ore a un mondo thai, ovvero non tribale, in cui l’integrazione resta problematica ha elettrizzato i tribali che hanno affrontato li lungo viaggio con i missionari. Vedere il Papa accolto dalle più alte autorità, tra cui il re Rama X, ha forse per la prima volta a concretizzato in molti la consapevolezza di far parte di una Chiesa che è cattolica proprio in quanto universale. Ed è «proprio qui in questa terra in cui il Vangelo – ricorda il missionario del Pime – si sta facendo strada tra le tante minoranze che l’universalità della Chiesa assume tutta la pienezza dei suoi connotati».
«Durante l’incontro con i religiosi, il Santo Padre ci ha chiesto di non vivere con la sindrome di sentirsi in pochi (ovvero minoranza) ma di sentirsi piccoli, perché con questa piccolezza la Chiesa thailandese (e in particolare la sua componente tribale) può passare da dato statistico a una dimensione teologica e spirituale che richiama la dimensione del ‘sale’ che sa insaporire il cibo». Con questa consapevolezza che il viaggio breve e intenso di Francesco ha evidenziato, termina padre Marco, «la Chiesa thailandese, pur nella sua piccolezza, è chiamata a farsi “luce del mondo e sale della terra” con la forza del proprio messaggio che è Parola di Dio proposta a tutti, anche ai ‘nostri’ tribali».