Si sono svolte le prime elezioni parlamentari da quando, il 31 dicembre 2012, gli ultimi contingenti internazionali hanno lasciato il Paese dopo un decennio di tutela. Un punto di partenza, non di arrivo, perché il Paese ha bisogno di un rinnovamento e di prospettive.
La giornata del 22 luglio ha chiamato al voto a Timor Est 760.907 elettori, con un’affluenza – elevata rispetto la tradizione locale – del 76,71 per cento. In palio i 65 seggi del Parlamento nazionale, di cui un terzo di diritto alle donne. Ben 21 i partiti in lizza in un’unica circoscrizione elettorale, con sbarramento al 3 per cento.
Dalla consultazione è emerso un risultato senza grandi sorprese, con il più accreditato erede della guerriglia anti-indonesiana, il Fretilin che ha vinto 23 seggi, rinnovando il suo potere sul paese. Un ruolo duramente contestato però, dato che al secondo arrivato, il Congresso nazionale per la ricostruzione timorese, partito di maggioranza uscente, sono andati 22 seggi. Con solo il 10 per cento delle preferenze, al terzo posto è finito con otto seggi il Partito popolare per la liberazione guidato dall’ex presidente Taur Matan Ruak. Sette i seggi assegnati al Partito Democratico.
Risultati ufficiosi in attesa della conferma da parte della Commissione elettorale il 6 agosto, tuttavia, il voto ha rappresentato un momento di alto significato. Anzitutto, perché si è trattato della prima elezione parlamentare da quando, il 31 dicembre 2012, gli ultimi contingenti internazionali hanno lasciato il Paese dopo un decennio di tutela contro l’implosione del nuovo Stato timorese dalla nascita ufficiale nel maggio 2002, seguita a un biennio di incertezza dall’indipendenza dall’Indonesia.
Le lacerazioni interne, sia quelle provocate o accentuate dalla venticinquennale occupazione coloniale di Giakarta, sia quelle dovute alla frammentazione etnica, sociale e religiosa di una nazione oggi di soli 1,2 milioni di abitanti, estesa su 15mila chilometri quadrati, cattolica al 90 per cento, sembrano ora finalmente riportate in modo rappresentativo all’interno del gioco politico.
Un ruolo ha avuto la Commissione elettorale che organizzando e pianificando gli eventi elettorali in modo adeguato ha evitato problemi significativi durante la campagna e le operazioni di voto. Un bis incoraggiante, con le presidenziali dello scorso marzo che hanno portato alla carica di Capo dello Stato Francisco Guterres, esponente del Fretilin, ugualmente pacifiche.
Un punto di partenza, comunque, non di arrivo, perché il paese ha bisogno di un rinnovamento e di prospettive. Lo sviluppo è la prima sfida in una realtà che vede metà della popolazione sotto la soglia della povertà. Non una situazione dovuta a mancanza di opportunità o di risorse, ma frutto di mancata pianificazione, instabilità e mire straniere sulle risorse naturali.
Per utilizzare al meglio i proventi potenzialmente colossali delle risorse petrolifere, il paese dovrà anzitutto rilanciare il Piano ventennale strategico di sviluppo (2011-2030) finora affossato da ambiguità, ingiustizie diffuse e corruzione. Anche dal ruolo internazionale assai debole di un Paese che cerca da tempo l’accesso all’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico).
Una condivisione del potere su linee tradizionali tra Fretilin e Congresso nazionale per la ricostruzione timorese sembra la scelta più ovvia e forse più opportuna, ma preoccupa lo scarso spazio dati finora e che sarà dato in prospettiva ai gruppi minori che veicolano istanza spesso ignorate.