Timor Est, l’eterna incompiuta

Timor Est, l’eterna incompiuta

Nel Paese più giovane dell’Asia, secondo in Asia solo alle Filippine per percentuale di battezzati, è ancora una volta crisi politica con un governo che nonostante gli enormi problemi sociali non è riuscito a presentare un bilancio. La speranza è che la preparazione del possibile viaggio del Papa in autunno diventi uno stimolo all’unità

 

Timor Est, uno dei più giovani Stati al mondo, 18 anni dopo la nascita è ancora ben lontano dalla maggiore età. Permanentemente preso in una rete di crisi interne e contrasti internazionali, colpi di stato veri, tentati, falliti. Piccolo, potenzialmente ricco di immensi giacimenti di petrolio e gas offshore, è ancora gestito da una leadership che chiama agli ideali guerriglieri e alla logica delle fazioni una popolazione di 1,4 milioni con un reddito pro-capite previsto per il 2020 di soli 2.700 dollari.

Le necessità urgenti di carattere educativo, medico e infrastrutturali richiederebbero fondi cospicui, ma le casse statali sono vuote e ricorrere a prestiti o investimenti stranieri porrebbero il Paese in una situazione di dipendenza ulteriore.

Il malgoverno che affligge questa nazione orgogliosamente cattolica – seconda in Asia solo alle Filippine come percentuale di battezzati – ha portato ancora una volta alla caduta del governo il 17 gennaio per l’impossibilità da parte del premier – noto con il suo nome di battaglia di Taur Matan Ruak – di fare approvare un bilancio statale dopo che il precedente, per una cifra record di 1,95 miliardi di dollari, era stato ritirato a ottobre sotto una pioggia di critiche ed emendamenti bipartisan. L’avvio di negoziati condotti dal presidente Francisco “Lu’Olo” Guterres il 23 gennaio potrebbero condurre in un vicolo cieco e alle terze elezioni parlamentari in cinque anni. Sul piano politico al potere è un governo di minoranza guidato dal Partito di liberazione popolare, con la maggiore formazione parlamentare, Il Partito nazionale per la ricostruzione timorese, che ha buon gioco a bloccare ogni iniziativa della controparte per una controversia sulla nomina al governo di nove suoi rappresentanti che dura dall’entrata in carica dell’esecutivo dopo le elezioni del maggio 2018.

Le alternative, d’altra parte, sono assai difficili. Sul piano finanziario lo Stato rasenta la pura sopravvivenza, mentre i fondi disponibili sono indirizzati verso i progetti di sfruttamento dei giacimenti di gas naturale dal costo previsto di 12 miliardi di dollari, ovvero i tre quarti del denaro disponibile nella banca centrale. Le riserve sottomarine nelle aree ristrette che il governo di Dili era riuscito a farsi riconoscere internazionalmente si prosciugheranno entro il 2023 e un nuovo trattato sui confini marittimi con l’Australia ottenuto lo scorso anno con il supporto delle Nazioni Unite rischia di restare lettera morta senza adeguate risorse. Un punto su cui la politica est-timorese si è arenata.

Nemmeno l’eredità del conflitto sembra attenuare la litigiosità tra partiti e fazioni, estensione di contrasti tra personalità e tribalismo che nemmeno l’identità cattolica maggioritaria ha saputo attenuare. Dall’indipendenza restano ancora aperte tre problematiche la cui soluzione potrebbe incentivare riconciliazione e progresso. La prima riguarda i risarcimenti per chi ha perso i propri beni e i propri cari durante le fasi finali del controllo indonesiano. La seconda, l’inclusione di gruppi guerriglieri timoresi nella lista nera dell’Onu che lascia di fatto nella clandestinità frange dell’ex movimento di liberazione. La terza, il rientro dei profughi, costretti a risiedere fuori dal territorio timorese: in parte fuggiti dalle violenze di truppe e paramilitari indonesiani, in parte collaborazionisti.

Il ruolo della gerarchia cattolica, fondamentale nel percorso che portò al referendum sull’indipendenza dall’Indonesia nel 1999 e alla nascita della Repubblica di Timor Est nel 2002, si è attenuato. Esponenti ecclesiali partecipano al dibattito sulle riforme con le diverse parti, ma non sembrano essere in grado di ottenere risultati concreti, nonostante il ruolo che la Chiesa gioca sul piano educativo e sanitario e che il primo ministro e la sua consorte siano devoti cattolici.

Come la confinante Indonesia e la vicina Papua Nuova Guinea, anche Timor Est potrebbe avviare presto – se l’evento sarà confermato – il percorso di preparazione al viaggio autunnale di papa Francesco. La speranza è che possa trovare in questo evento uno stimolo all’unità e un senso a una libertà costata forse 200mila vittime ma che non ha garantito stabilità e progresso.

 

Foto: Isabel Nolasco / Wikipedia