Da quindici anni, padre Nevio Viganò opera in una delle regioni più povere e pericolose dell’isola di Mindanao. Dove cerca di portare aiuti concreti, ma anche di promuovere diritti e giustizia
«Il mio nome è Nevio. Brianzolo di nascita, ora sono per un terzo italiano, un terzo cinese e un terzo filippino». Si presenta così, padre Nevio Viganò missionario del Pime che dal Duemila vive a Zamboanga, sull’isola di Mindanao, la seconda più estesa delle settemila isole che compongono l’arcipelago delle Filippine.
Un posto difficile e pericoloso, dilaniato da un conflitto tra l’esercito e gli indipendentisti musulmani che dura da quarant’anni e che ha fatto più di 150 mila vittime. Anche tre missionari del Pime – Tullio Favali, Salvatore Carzedda e Fausto Tentorio – hanno dato la loro vita per questa terra e la sua gente.
Padre Nevio è costretto a muoversi con una scorta. Un particolare su cui sorvola volentieri. Anche se è perfettamente consapevole della situazione: «Purtroppo – ci dice – Zamboanga e Mindanao vengono accomunate dai media solo a fatti negativi: povertà dilagante, mancanza di assistenza medica, rapimenti specialmente di stranieri a scopo di riscatto, gruppi armati che pretendono di amministrare arbitrariamente la giustizia nella totale impunità, presenza di gruppi di estremisti islamici…».
Poi, però, ci sono anche le straordinarie bellezze naturali e l’eccezionale ricchezza di gruppi etnici, culture e religioni diverse che vivono insieme. Un posto che – se fossero garantite condizioni minime di sicurezza – potrebbe essere un paradiso non solo per i turisti, ma per antropologi e appassionati di dialogo interreligioso.
Padre Nevio, come gli altri missionari, vi resta a prescindere. Questo è un luogo di predilezione per il Pime. E per lui personalmente. Che in questo momento è solo a Sinunuc, periferia di Zamboanga, dove si trova a operare come missionario e parroco della parrocchia della Trasfigurazione, una delle più giovani e povere della diocesi. La sua comunità è composta da circa trentamila persone, a maggioranza cristiana, con una forte percentuale di musulmani e indigeni lumad: «Quindici anni fa – precisa il missionario – i cristiani rappresentavano il 70 per cento circa degli abitanti della nostra parrocchia, mentre i musulmani erano il 25%. Oggi questi ultimi sono circa il 50% e il loro numero è in aumento per via del forte incremento delle nascite e per l’emigrazione dei cristiani soprattutto verso la vicina Malaysia».
Il territorio è vastissimo, va dal litorale sul mare di Sulu, sino ai villaggi arroccati sui monti: sette piccoli agglomerati, spersi in foresta e raggiungibili attraverso strade sconnesse quando va bene. Perché durante la stagione delle piogge spesso rimangono completamente isolati a causa delle frane.
«Più vivo con la gente – racconta padre Nevio – e più riesco a capire il mio ruolo di pastore e di missionario. Da un lato, ci si trova di fronte alla necessità di rispondere a bisogni immediati che non possono essere rinviati a un futuro prossimo o remoto; dall’altro, cerchiamo di far crescere nell’animo della gente, specie nei giovani, un senso di dignità che li spinga a essere responsabili della propria esistenza».
Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di sfide non scontate. Il territorio è difficile e non solo per i problemi di sicurezza. Una grande questione è, ad esempio, lo sfruttamento delle ingenti risorse del suolo e del sottosuolo, dal legname al carbone, spesso nelle mani di multinazionali e di lobby locali senza scrupoli, interessate più al profitto che al benessere della popolazione o alla salvaguardia dell’ambiente. Più volte, missionari e attivisti per i diritti umani hanno denunciato la confisca e la distruzione delle terre ancestrali delle popolazioni indigene, che hanno un valore simbolico oltre che concreto per il loro sostentamento. In passato, era stata chiesta una moratoria per tutte le attività minerarie nella penisola di Zamboanga. Cosa che ovviamente non è avvenuta. Gli interessi di pochi prevalgono sui diritti di molti.
«La povertà e la mancanza di sicurezza – analizza il missionario – sono causate soprattutto dalla decennale mancanza di attenzione e di programmazione da parte del governo centrale di Manila. Questo ha creato un forte malcontento tra la popolazione locale, ma ha favorito anche la nascita e la diffusione di gruppi armati, specialmente di stampo islamista, con una forte spinta indipendentista o di autonomia politica ed economica».
Il 27 marzo 2014, il governo di Manila e il Moro Islamic Liberation Front (Milf) avevano firmato un accordo generale che aveva creato molta speranza: prevedeva, infatti, la nascita del Bangsamoro, una nuova regione autonoma con ampi poteri nelle province a maggioranza musulmana della regione di Mindanao (che comprende anche Zamboanga). L’accordo dovrebbe entrare in vigore nel maggio 2016, ma per il momento è tutto fermo in Parlamento.
Questa storica intesa, che contempla anche la consegna delle armi da parte del Milf, si fonda essenzialmente sulla suddivisione dei poteri tra il governo centrale e quello del Bangsamoro. Un ulteriore passo avanti rispetto a quanto già ottenuto dalla regione autonoma di Mindanao, creata nel 1989. Ma una vera pace in questa terra non sarà possibile senza una maggiore giustizia ed equità. È quanto ha sostenuto a più riprese anche il cardinale Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato, il cui testo “Ingiustizia: la radice del conflitto a Mindanao” è stato ripetutamente citato anche nel corso dei negoziati.
«Spesso mi chiedo – interviene padre Nevio – se sia giusto che tanta di questa gente debba nascere povera, vivere tutta la vita in povertà e morire povera. Una vita sospesa a un filo, senza un pasto decente al giorno, servizi sanitari minimi, un lavoro decoroso; senza poter realizzare il sogno di una casa dignitosa e un minimo di tranquillità economica per i propri figli; senza aspettarsi tutto e sempre come dono, regalo o elemosina…».
Agricoltura e pesca di sussistenza sono le principali attività a cui si dedica la popolazione locale, più qualche lavoretto informale e precario che non dà nessuna garanzia per il futuro e che fa precipitare le famiglie in situazioni di crisi non appena interviene un imprevisto o una malattia. «E allora – commenta amareggiato il missionario -, anche qui come nel resto del Paese, il grande sogno dei nostri giovani è di poter andare all’estero. Qualcuno può cercare di far valere il proprio titolo di studio, ma molti provano a emigrare illegalmente per poter mantenere i loro cari. Oggi, quasi tutte le famiglie della nostra comunità hanno almeno un familiare all’estero, spesso uno dei genitori. Questo sta creando problemi immensi per via della lontananza e delle separazioni. La maggior parte dei nostri ragazzi vive “orfana” di uno dei genitori o di entrambi: il lavoro all’estero procura sostentamento per le famiglie, possibilità di studiare, ma anche il pericolo che il genitore lontano si crei una seconda famiglia, ignorando la prima».
Anche per questo, padre Nevio sta puntando molto sulla formazione. Religiosa ma non solo. A tutti i livelli: formazione delle comunità cristiane di base e di catechisti (soprattutto giovani a livello universitario), catechesi per bambini, ragazzi, adulti e giovani famiglie. Organizza incontri di preghiera, riflessione e studio della Bibbia, senza trascurare la visita alle famiglie, anche per una vicinanza e un supporto più personali. «Sono queste le preoccupazioni e le gioie dell’attività pastorale e missionaria che caratterizzano la vita della nostra comunità e la mia vita. Purtroppo – continua – i bisogni immediati spesso catalizzano la gran parte delle energie della nostra comunità cristiana. Ad esempio, l’aiuto di emergenza per spese di assistenza medica, degenze in ospedale, acquisto di medicine. Ma abbiamo anche un programma di supporto alimentare nelle scuole per far fronte al grave fenomeno della denutrizione dei bambini, che in certe classi sui monti arriva al 20% degli alunni».
Attualmente, grazie alla generosità di tanti benefattori dall’Italia e da Hong Kong – e alla collaborazione di maestre e mamme del posto – padre Nevio riesce a garantire almeno un pasto abbondante al giorno a circa 700 bambini. Il progetto di adozioni a distanza, portato avanti grazie all’Ufficio Aiuto Missioni del Centro missionario Pime di Milano, permette inoltre a studenti di ogni livello, dall’asilo nido all’università, di poter studiare senza la preoccupazione delle spese per iscrizioni, materiale didattico, uniformi scolastiche e cure mediche. «“Con el favor del Dios”, come dice la nostra gente di Sinunuc – conclude il missionario – speriamo di portare una goccia d’acqua nel grande deserto dei bisogni in questo angolo del mondo».