Che due giovani donne – Hill e Rotha – rinuncino ad una famiglia, all’amore di un uomo, a dei figli, e si consacrino a Dio per tutta la vita, appare inaudito, un evento in sé stesso soprannaturale perché inesistente nei ritmi della natura e della cultura cambogiane
Non nascondo che nell’incontro con Sokcie come con tanti altri giovani cambogiani sento una sorta di chiamata a portare a compimento non solo la mia, ma anche la loro vita. Entrambe ancora incompiute, eppure «full of promise»
La liturgia del tempo pasquale, i tweet di Donald Trump e quanto accade qui in Cambogia, mi interpellano. A pensarci bene ha ragione il piccolo Rotha: siamo tutti malati di morte. Ma sta a noi decidere davanti a chi inchinarsi per guarire
Mettere Gesù nella nostra memoria/tomba significa metterlo nelle nostre case o cose morte, nelle relazioni sepolte e rimaste incompiute, nei lavori rimasti in sospeso, nelle parole non dette o dette male. Metterlo nei nostri archivi digitali pieni d’amore e di pena, di verità e di menzogne, di intimità e di tradimenti
Non sono venuto in Cambogia per portare una dottrina, per imporre una legge o delle pratiche rituali, per circoncidere qualcuno, ma per «rappresentare al vivo Gesù Cristo crocifisso»