Durante la veglia missionaria della diocesi di Roma l’impatto è che sia ben rappresentata la Chiesa universale, ma poco la Chiesa locale missionaria. Resta l’impressione di un calo della sensibilità e dell’interesse delle comunità e dei gruppi ecclesiali in Italia per le veglie e le giornate missionarie.
Va bene ribadire la dottrina. Va bene anche riconoscere con gratitudine ed incoraggiare le coppie e le famiglie che si impegnano in senso genuinamente cristiano. Ma l’umiltà non guasta mai. Perché anche le costruzioni più belle vanno sempre curate o a volte si rompono. Ma soprattutto perché la Chiesa è missionaria.
I missionari italiani sono scesi negli ultimi vent’anni da 20mila a 8mila. E sono molto invecchiati. «Ma la partenza “mite” dei giovani che trascorrono anche solo un periodo in missione è una ricchezza nuova del nostro tempo», sostiene il vescovo Francesco Beschi, presidente della Commissione Cei per l’evangelizzazione dei popoli
Non solo sbarchi: sono ventimila nella sola provincia di Ragusa quelli che lavorano nei campi senza tutele a 20 euro al giorno. Sfruttati da datori di lavoro che sono solo il penultimo anello di una catena molto più lunga. La testimonianza di padre Beniamino Sacco e del Progetto Presidio, che si prendono cura di loro
La Playa con mamma Gea è diventata da luogo di morte nei naufragi a segno di accoglienza per i minori immigrati. Walter ha fondato tra i rifugiati di Bronte il gruppo Giovani per la pace. Mentre padre Mario, vincenziano, a Catania ha aperto «La Locanda», dove i migrani vivono insieme agli altri senza casa.
Alla «Mission Fest» del Pime a Mascalucia (Ct) i racconti di Charlene, Sekou, Baldé. Guerre, persecuzioni religiose, viaggi inumani e un’idea sempre più concreta: i morti nelle traversate sono l’inizio doloroso di un mondo nuovo
Chi sono i destinatari della missione? La risposta che dà papa Francesco è chiara e la troviamo nel Vangelo stesso: i poveri, i piccoli e gli infermi, coloro che sono spesso disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno da ricambiarti
Lo Stato di Amapà in Amazzonia è emblematico dei mali che infieriscono sulla fragilità dei nuclei domestici: situazioni «irregolari» che escludono molti fedeli dalla vita della Chiesa, spiega suor Agnese Roveda