Nel discorso alle autorità un appello alla pace e un forte richiamo contro la corruzione «che impoverisce Paesi interi». Nell’incontro in cattedrale con la piccola Chiesa locale l’invito alla semplicità: «I numeri e i successi non sono la strada di Dio»
Steppe, pastori nomadi e gli echi delle conquiste di Gengis Khan: nell’immaginario collettivo la Mongolia è una terra lontana e avvolta in un velo di mistero. Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco, siamo andati a visitarla e abbiamo scoperto un Paese sfaccettato e in rapido cambiamento, ma anche strategico, stretto com’è tra i due grandi vicini: Russia e Cina. Il reportage di “Finis Terrae”
Parla il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulan Bator: «La visita è un segno di attenzione a una Chiesa di minoranza e a un popolo ricco di cultura»
Stretta tra Cina e Russia, la Mongolia cerca di ridurre la dipendenza dai due vicini. E mentre la gente è esasperata da corruzione e inflazione, cresce il populismo
Viaggio alla scoperta della piccola comunità cattolica della Mongolia, dove il 31 agosto arriverà Papa Francesco. Un Paese che sta ricostruendo la sua identità dopo 70 anni di comunismo e la difficile transizione democratica
Trevigiano, 82 anni, si è spento in ospedale a Tokyo dopo alcuni mesi di malattia. Della sua missione in un Paese dalla cultura apparentemente così lontana diceva: «Il Cielo è la voce di Dio. Che anche i giapponesi possono vedere e sentire».
L’annuncio di una speranza oltre la competizione sfrenata della metropoli, l’inverno demografico, il bisogno di soluzioni creative per riaprire il dialogo con Pyongyang. Così qualche mese fa l’arcivescovo di Seoul Peter Chung Soon-taick raccontava a Mondo e Missione la sfida della presenza della Chiesa nella metropoli asiatica scelta oggi ufficialmente da papa Francesco come sede per la Gmg 2027.
Le temperature record non si fanno sentire solo alle nostre latitudini: per settimane in diverse zone dell’Asia il caldo ha messo in difficoltà la popolazione. Minacciando soprattutto i più piccoli. Secondo un recente rapporto dell’Unicef circa 1 miliardo di bambini – quasi la metà dei bambini del mondo – vivono in Paesi che sono ad “altissimo rischio” per l’impatto dei cambiamenti climatici