L’Egitto ferito che attende Francesco

L’Egitto ferito che attende Francesco

Un Paese povero e lacerato, attraversato da violenze e contraddizioni. Dopo le stragi di copti della Domenica delle Palme, il Pontefice prova a portare al Cairo semi di apertura e collaborazione. E un po’ di speranza…


«L’Egitto sta vivendo una situazione molto difficile da tanti punti di vista. Per questo, molti sperano che la visita di Papa Francesco al Cairo possa avere delle ripercussioni concrete sulla vita della gente». Visto dal di dentro, il viaggio nella capitale egiziana ha una valenza che va ben oltre gli incontri e le dichiarazioni – seppur importantissimi – di questo evento di grande portata storica. Soprattutto dopo l’ennesima strage di cristiani copti, che ha funestato la Domenica delle Palme, con 46 vittime in due chiese, a Tanta e ad Alessandria. Strage che segue quella di Natale, quando un terribile attentato provocò 25 morti e una cinquantina di feriti nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo al Cairo.

È quanto sostiene Giuseppe Scattolin, missionario comboniano e accademico esperto di mistica islamica. Residente nel mondo arabo dal 1969 e in Egitto dal 1979, padre Scattolin è un fine conoscitore della lingua araba, nonché delle dinamiche complesse e spesso opache agli occhi occidentali di una realtà lacerata da influenze e spinte contrastanti. «Questo viaggio ha innanzitutto un impatto religioso – conferma Scattolin -. Ma indubbiamente ha anche un risvolto politico e sociale. O, per lo meno, è quanto la gente si aspetta».

La visita del Papa risponde a molteplici sollecitazioni e aspettative. «Accogliendo l’invito del presidente della Repubblica, dei vescovi della Chiesa cattolica, di sua santità Papa Tawadros II e del grande imam della moschea di al- Azhar, cheikh Ahmed Mohamed el-Tayyib – faceva sapere la sala stampa vaticana – Papa Francesco compirà un viaggio apostolico dal 28 al 29 aprile». È il quarto viaggio di Bergoglio in un Paese a maggioranza islamica, dopo Giordania, Turchia e Azerbaigian. Qui, forse più che altrove, si tratta di rilanciare il dialogo interreligioso con il mondo musulmano e in particolare con la moschea-università di al-Azhar dopo cinque anni di “gelo”. Al-Azhar è un’istituzione antica di oltre un millennio, con settanta facoltà universitarie e studenti provenienti da oltre cento Paesi. Inoltre, gestisce scuole a tutti i livelli sparse per l’intero Paese. La grande moschea-università è simbolo del sapere e del potere sunnita, ma è anche, in un certo senso, organo di Stato, dal momento che il grande imam continua a venire nominato dal presidente. Dopo essere stata parzialmente marginalizzata durante l’anno di potere della Fratellanza musulmana, ora questa importante istituzione torna a riproporsi come autorità morale grandemente rispettata e temuta.

Ecco perché era stato di grande rilevanza l’incontro in Vaticano tra il grande imam el-Tayyib e Papa Francesco, il 23 maggio 2016: si è trattato di un primo fondamentale spiraglio di apertura che ha propiziato questo viaggio di Bergoglio e una nuova fase del dialogo islamo-cristiano. Il Papa, in particolare, concluderà la Conferenza interreligiosa per la pace che si è aperta il 27 aprile.
La visita del Pontefice al Cairo ha, tuttavia, anche un significativo risvolto ecumenico. L’Egitto, infatti, è un Paese di 95 milioni di abitanti, dove i cristiani rappresentano una consistente minoranza di circa 9 milioni di persone, che continuano a subire discriminazioni se non veri e propri attacchi e violenze. Si tratta nella quasi totalità di copti-ortodossi, ma nel variegato panorama egiziano sono presenti anche molte altre confessioni: greco-ortodossi, maroniti, melchiti, armeni, protestanti, anglicani, copti-cattolici e qualche latino. Anche in questo ambito, Papa Francesco trova un interlocutore attento e disponibile nella figura di Tawadros II, il Papa dei copti, certamente più dialogante del suo predecessore Shenouda III.

Infine, l’aspetto pastorale, con le visite alla comunità cattolica, minuscola numericamente ma impegnata su più fronti, soprattutto in campo culturale e sociale. Ne è un esempio il Dar Comboni, il Centro di studi arabi promosso dai missionari comboniani che, da oltre 25 anni, forma laici e religiosi proprio sul tema del dialogo, al fine di favorire rapporti di comprensione reciproca in un clima di distensione e rispetto delle mutue fonti d’ispirazione.

Padre Scattolin, che vi insegna da molto tempo, insiste però anche sulla necessità di non perdere di vista il contesto in cui questa visita si inserisce e sul fatto che comincerà con un saluto al discusso presidente della Repubblica, il generale Abd al-Fatah al Sisi.
«Il Paese vive una situazione molto difficile – conferma padre Scattolin -. C’è un forte conflitto interno tra governo e opposizione politica dei fondamentalisti. C’è soprattutto una grave crisi economica, che rischia di mettere ancor più in ginocchio il Paese. La popolazione soffre come non mai. E ora, su pressione del Fondo monetario internazionale, il governo pensa di ritirare i sussidi a cui si aggrappano molte famiglie per sopravvivere. La lira egiziana è stata lasciata fluttuare ed è caduta in seguito a una svalutazione pesantissima. I prezzi sono raddoppiati e la gente non riesce più a vivere. Specialmente la sanità è diventata inaccessibile. Molti prevedono che la prossima rivoluzione sarà quella della fame».

L’Egitto oggi è un Paese segnato da enormi diseguaglianze. Questo gap riguarda innanzitutto città e zone rurali. Ma anche all’interno delle stesse città – a partire da una metropoli gigantesca come Il Cairo con i suoi venti milioni di abitanti – ci sono enormi quartieri  dove milioni di persone trascinano la propria esistenza in condizioni miserabili. I dati ufficiali parlano di un quarto della popolazione che vive sotto la soglia di povertà e di un tasso di disoccupazione pari al 13%. Una cifra poco realistica soprattutto per quanto riguarda i giovani, per i quali la mancanza di lavoro è un vero dramma.

La situazione è aggravata dalla riduzione degli investimenti (e degli aiuti) occidentali, dalle politiche delle grandi istituzioni finanziarie internazionali (Fondo monetario e Banca mondiale) e dal crollo del turismo internazionale. Con la visita di Papa Francesco, alcuni tour operator locali speravano di rilanciare il turismo religioso sulle “orme della Sacra Famiglia”, ma l’instabilità del Paese e l’inaccessibilità dell’intera penisola del Sinai per ragioni di sicurezza non favoriscono in nessun modo l’afflusso di stranieri. Resta chiaramente il sostegno del mondo arabo e in particolare dei Paesi del Golfo che, tuttavia, giocano una partita ambigua, sostenendo il governo, ma anche gruppi di oppositori e di estremisti se non di veri e propri terroristi.

«I fondamentalisti rappresentano un problema serio per i cristiani, ma non solo – conferma padre Scattolin, riferendosi alla strage della Domenica delle Palme, ma anche ai recenti omicidi mirati di copti nel Sinai -. Sono una spina nel fianco anche del governo. Portano avanti una politica del “tanto peggio, tanto meglio”. Si oppongono al presidente, ma soprattutto si oppongono al Paese, contribuendo ad accentuare il malessere della gente. Sarebbe necessaria una riconciliazione nazionale, ma non vedo attori autorevoli capaci di portarla avanti con convinzione».

Secondo Scattolin occorrerebbe innanzitutto disarmare la violenza causata dai fondamentalisti. Ma per fare questo occorrerebbe anche un cambiamento culturale radicale. Impresa quanto mai ardua. «Spero proprio che la visita del Papa lasci un segno in questo senso – dice lo studioso che, occupandosi di sufismo, conosce bene l’intolleranza presente anche all’interno dello stesso mondo musulmano -. Molti incontri, conferenze, discorsi e dichiarazioni non hanno portato frutto perché a livello culturale, prima ancora che politico, non si affronta il problema della violenza. Non basta una condanna platonica della violenza per contrastarla. Occorre andare alle radici, che sono culturali e religiose. Nel caso del cristianesimo, un passo avanti importante è stato compiuto soprattutto da Papa Giovanni Paolo II, quando, in occasione del Giubileo del Duemila, ha chiesto pubblicamente perdono per le violenze perpetrate dai cattolici nei confronti di altre confessioni cristiane o di altre religioni, nello specifico dell’islam. Tutto questo, però, è avvenuto dopo un lungo periodo di riflessione critica sulla storia del cristianesimo, alla luce delle conquiste della modernità, in particolare in termini di diritti della persona umana. Questo processo di riconoscimento della violenza e delle sue radici, nonché di condanna e di riforma della società sulla base dei diritti umani, non è ancora avvenuto nei Paesi islamici, compreso l’Egitto».

Per questo, secondo Scattolin, ci sarebbe bisogno di una vera e propria “rivoluzione culturale”. «In Egitto – spiega – ci sono molti che sarebbero pronti, ma mancano un po’ di coraggio e non trovano appoggi né all’interno né all’esterno del Paese. La stessa al-Azhar potrebbe farlo, ma deve ancora fare i conti con la propria storia. Non si è mai pronunciata, ad esempio, sul tema della condanna a morte per apostasia; se lo facesse, dicendo che non è più parte della legge islamica, avrebbe un impatto enorme su tutto il mondo sunnita, ma evidentemente non è ancora arrivato il tempo propizio. Eppure vediamo che in altri contesti più “laici” come la Tunisia la società islamica è riuscita ad accettare e implementare i diritti umani universali e a progredire».

Anche in Egitto, tuttavia, sono stati fatti alcuni passi avanti: sul piano politico, il governo egiziano sta cominciando a mettere in pratica la nuova Costituzione soprattutto per quanto riguarda i diritti personali; sul piano del dialogo interreligioso, l’università di al-Azhar e il Patriarcato copto stanno portando avanti l’opera della “Casa della famiglia egiziana”, una realtà in cui leader cristiani e musulmani si incontrano per creare rapporti di amicizia e promuovere coesione sociale; infine, da un punto di vista ecumenico, Papa Tawadros ha creato il Consiglio nazionale delle Chiese cristiane, anche questo un segnale positivo di incontro e rottura della barriere. L’auspicio è che la visita di Papa Francesco – specialmente dopo le recenti stragi – possa contribuire a far fiorire questi semi di apertura, dialogo e collaborazione.