La dottrina della Chiesa oggi condanna ormai senza riserve «il possesso e la minaccia di usare le armi nucleari». Ma allora come dovrebbe comportarsi un cattolico che lavora in un settore legato a questi strumenti di morte? Sulla rivista «La Civiltà Cattolica» il teologo americano Drew Christiansen propone un termine di paragone interessante: il cammino di discernimento indicato per i divorziati risposati dall’esortazione apostolica di papa Francesco
Da quando – ormai due anni fa – è stata presentata l’Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco sul tema della famiglia, a calamitare l’attenzione nelle discussioni è stato soprattutto il capitolo ottavo, quello intitolato «Accompagnare, discernere e integrare le fragilità» intese come quelle situazioni che «non corrispondono ancora o non corrispondo più» all’insegnamento della Chiesa riguardo al matrimonio.
Molto si è discusso soprattutto sulla questione del «discernimento» come criterio suggerito da papa Francesco per affrontare anche la questione dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati. Ma il problema di una distanza tra ciò che insegna il magistero della Chiesa e una situazione oggettiva legata alla vita di una persona, non esiste anche in tante altre situazioni che apparentemente accogliamo senza nessun problema?
È il paragone decisamente forte che emerge nelle pagine conclusive di un saggio che appare sull’ultimo numero della rivista La Civiltà Cattolica. A firmarlo è il teologo gesuita Drew Christiansen – docente di Etica e Sviluppo umano globale alla Scuola di Relazioni internazionali della Georgetown University di Washington – che riflette sulle «implicazioni morali e pastorali» del «no» della Chiesa alle armi nucleari. Nel testo Christiansen ricostruisce l’evoluzione della posizione della Santa Sede in proposito, passata da un’accettazione condizionata dell’idea della deterrenza nucleare negli anni Ottanta al forte sostegno al disarmo nucleare, espresso anche attraverso l’adesione al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari, votato dall’Onu lo scorso anno. Nello scorso mese di novembre, infine, papa Francesco, in un discorso a un Simposio tenutosi in Vaticano ha esplicitato le ragioni che spingono oggi a indicare come immorale la logica della deterrenza.
Il teologo americano osserva come in questo mutamento un ruolo importante lo abbia avuto il percorso di riflessione iniziato negli anni Ottanta dai vescovi degli Stati Uniti che – con il contributo anche di scienziati, militari e studiosi di etica – nel 1983 portò all’elaborazione della lettera pastorale The Challenge of Peace. Un testo tornato di strettissima attualità in un momento in cui tanto gli Stati Uniti quanto la Russia sono tornati a parlare apertamente di progetti per lo sviluppo di nuove armi nucleari.
Padre Christiansen scrive: «Sarebbe ingenuo, da parte nostra, non segnalare una certa costernazione nelle persone che sono seriamente preoccupate della loro fede cattolica, ma non hanno finora ricevuto indicazioni più chiare su come affrontare i loro obblighi civili e professionali riguardo alle armi nucleari, alla luce dell’attuale dottrina della Chiesa che condanna il possesso e la minaccia di utilizzare armi nucleari».
Proprio a indicare l’urgenza per l’etica cattolica di elaborare un percorso che dia sostanza a questo rifiuto, educando e accompagnando le coscienze mira la riflessione del teologo gesuita. Che indica una serie di punti chiave tra cui il mantenimento «della barriera tra la guerra nucleare e quella convenzionale». Oggi infatti l’industria bellica parla della possibilità di produrre «piccole atomiche», meno potenti e quindi più facilmente utilizzabili. «Proprio come i progettisti di armi tentano di rendere più utilizzabili le armi nucleari – scrive Christiansen – così alcuni esperti di etica nucleare cercano di individuare le particolari circostanze in cui, tutto sommato, potrebbe risultare ammissibile l’impiego di quelle armi. Ma questa deriva verso la normalità dev’essere contrastata – commenta il teologo -. Nell’etica, così come nella strategia militare, la barriera va mantenuta».
Ma con coloro che oggi lavorano nel sistema della deterrenza nucleare la Chiesa – alla fine – come dovrebbe comportarsi? È proprio qui che Christiansen propone il riferimento al capitolo ottavo di Amoris Laetitia. Accostamento interessante perché esprime due idee importanti: la prima è la sottolineatura che lavorare oggi per un sistema che promuove lo sviluppo di nuove armi nucleari o anche il loro stesso mantenimento è un problema etico serio per un cattolico. Non è questione la cui responsabilità si possa demandare solo al «comandante in capo» che detiene i codici delle armi nucleari. Ma la seconda è anche la consapevolezza che sarebbe utopistico pensare che da un giorno all’altro un sistema del genere possa scomparire: anche il disarmo nucleare richiede una gradualità e un discernimento che vanno accompagnati.
«Per gli studiosi (di etica ndr) – scrive padre Christiansen – ciò può comportare un impegno diretto con gli specialisti del nucleare, in conversazioni volte a comprendere come soddisfare le esigenze dell’insegnamento della Chiesa, quando esse sono in conflitto con altre loro responsabilità in quanto professionisti, personale militare o semplici cittadini. Inoltre, anche per coloro che dissentono dall’insegnamento della Chiesa sulla deterrenza, è necessario affermare l’opportunità di continuare a partecipare alla vita della Chiesa, come è stata espressa nel Sinodo della famiglia». Perché «come ha scritto papa Francesco nell’Amoris Laetitia riguardo alle coppie divorziate, compete alla Chiesa rivelare alle persone che lavorano nel campo nucleare “la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro” sempre possibile con la forza dello Spirito Santo». E anche in questo caso il discernimento – conclude il teologo – potrà avvenire più facilmente «in una modalità pastorale più simile alla direzione spirituale che a un vecchio modello giuridico di confessione basato sulla legge scritta».