Si ipotizza un accordo per la nomina dei vescovi. La Santa Sede è consapevole che restano limitazioni pesanti, ma prova col dialogo ad allargare gli spazi di fiducia reciproca e libertà
Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le notizie sul dialogo in corso tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese. Più di una fonte ha parlato di una possibile svolta nelle relazioni, ipotizzando addirittura che possa essere sancita entro l’anno con l’ufficializzazione della nomina di alcuni vescovi da parte del Papa. Dalla stessa Cina, però, continuano comunque ad arrivare anche notizie su violazioni gravi della libertà religiosa dei cristiani. Che cosa sta succedendo? In quali termini e con quali obiettivi la Santa Sede si sta muovendo nei suoi rapporti con Pechino?
All’inizio di febbraio – alla vigilia del Capodanno cinese – Francesco ha rilasciato un’intervista al sito Internet di Hong Kong Asia Times, un gesto inedito per un Pontefice. Un dialogo con Francesco Sisci in cui il Papa non è entrato nello specifico della questione dei rapporti tra la Repubblica Popolare e il Vaticano, ma ha parlato dell’importanza della cultura cinese, della necessità di superare le paure reciproche, del contributo che la Cina può dare al mondo di oggi.
«Alla vigilia del nuovo anno – ha detto Bergoglio in quel dialogo – desidero inviare i miei migliori auspici e auguri al presidente Xi Jinping e a tutto il popolo cinese. E desidero esprimere la mia speranza che non perda mai la consapevolezza storica di essere un grande popolo, con una grande storia di saggezza, e che ha molto da offrire al mondo». Queste parole hanno avuto una grande eco in Cina. E sono state seguite da due ulteriori sviluppi sul Global Times, il quotidiano di lingua inglese considerato una voce semi-ufficiale del governo cinese: c’è stata prima un’intervista al cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, grande tessitore di rapporti con Pechino, recatosi in Cina all’inizio di febbraio «non in una missione ufficiale, ma per incontrare vecchi amici». Poi un secondo articolo ha riassunto il punto di vista di Pechino sullo stato dei rapporti tra il Vaticano e la Repubblica Popolare, con un titolo già di per sé eloquente: «Sotto Papa Francesco e il presidente Xi cresce la speranza nel disgelo delle relazioni». Anche una voce legata alle autorità cinesi, dunque, oggi utilizza espressamente il termine «disgelo». Entrando nel dettaglio su quella che per Pechino dovrebbe essere la soluzione del nodo riguardante la nomina dei vescovi: dalle diocesi locali arriverebbero le candidature a cui il governo cinese darebbe un suo placet prima che vengano sottoposte al Papa per la nomina ufficiale.
Il passaggio è delicatissimo ed è evidente che una soluzione del genere non sarebbe un riconoscimento pieno della libertà religiosa per la Chiesa in Cina. Perché – allora – il Vaticano sta comunque esplorando questa strada? Non certo per ingenuità: alla Santa Sede non mancano informazioni di prima mano sulle contraddizioni che accompagnano tutto questo cammino; dalla vicenda delle centinaia di croci distrutte nello Zhejiang, alla situazione del vescovo Ma Daqin da tre anni costretto al domicilio coatto nel seminario di Shanghai, fino al caso della morte più che sospetta di padre Pedro Yu Heping. Sembra che in Vaticano non si pensi all’eventuale accordo sulla nomina dei vescovi come a un successo per cui esultare; le ombre rimarrebbero comunque ombre. L’obiettivo però è chiaro: provare ad allargare il cerchio entro il quale oggi la Chiesa può muoversi in Cina, evitando il muro contro muro. Un cerchio il cui raggio effettivamente in questi anni si è ampliato: quando i primi canali di dialogo con Pechino furono avviati negli anni Ottanta non si poteva nemmeno pronunciare il nome del Papa nel canone della Messa. Oggi invece, ad esempio, un’editrice cattolica guidata da un prete può pubblicare un diffusissimo calendario con le immagini del Papa. Oppure diecimila fedeli “sotterranei” possono pubblicamente riunirsi per l’apertura della Porta Santa, come accaduto a Zhengdind nell’Hebei.
Va detto che le situazioni a livello locale sono diverse; la repressione non è affatto finita. Anche dove la libertà di movimento appare maggiore non è tutto oro quel che luccica. La storia pesa, ci sono tante incomprensioni ancora da superare. Ma la Santa Sede è convinta che in Cina non sia il momento delle contrapposizioni tra bianco e nero e la strada sia invece quella della ricerca delle intese concretamente possibili. E in questo la sottolineatura di Papa Francesco sull’importanza della cultura cinese non è solo formale: c’è la convinzione che una Chiesa cattolica sempre più autenticamente cinese sia la premessa fondamentale per qualsiasi passo in avanti.
Come scriveva già Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi nel 2007: la Chiesa in Cina oggi è una, pur nei suoi due volti della comunità “ufficiale” e di quella cosiddetta “clandestina”. Ma la domanda è: qual è strada migliore oggi per far crescere ulteriormente questa unità al servizio dei cattolici che vivono in Cina? Dietro ai ragionamenti sull’ipotesi di accordo in Vaticano c’è anche una constatazione molto realista: attualmente le diocesi senza un vescovo in Cina sono circa quaranta; che cosa succederebbe con una rottura? Che scenario si aprirebbe se Pechino dovesse dare il via a una nuova raffica di ordinazioni illegittime per queste diocesi, con numeri ancora più grandi rispetto a quelli del 2010?
Individuare insieme – in un dialogo franco ma anche rispettoso – vescovi che siano accettabili per le autorità cinesi, ma allo stesso tempo abbiano un cuore cattolico grande. E con loro poi lavorare attraverso la formazione del clero, la pastorale dei laici, la vita religiosa per allargare il più possibile il cerchio limitato entro cui in Cina oggi è possibile muoversi. Questa – in sintesi – sembrerebbe essere la linea che Roma sta seguendo. E l’ipotesi di un viaggio di Francesco a Pechino? «Andare là: mi piacerebbe tanto!», ha detto lui stesso, rispondendo a una domanda dei giornalisti durante il volo di ritorno dal Messico. È qualcosa più di un semplice sogno: in un messaggio personale inviato al presidente Xi Jinping, Papa Francesco ha scritto di essere pronto a incontrarlo dove vuole e quando vuole. La risposta delle autorità cinesi è stata che i tempi non sono ancora maturi. Quindi per il momento non c’è niente di concreto. Ma è anche vero che in Oriente quanto non si è fatto per anni poi a un certo punto può succedere in una settimana. In fondo non è stato così anche per l’incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca?